sabato 27 ottobre 2012

Io voto Renzi

In questi giorni,anche sulla Rete,e oramai in piena campagna elettorale per le primarie,è tutto un proliferare,da parte di dirigenti,iscritti,militanti dei partiti del centrosinistra,oltrechè di semplici cittadini,in un momento drammatico dal punto di vista economico,sociale,con evidenti e preoccupanti limiti etico-morali della poltica,di dichiarazioni con le quali vengono resi pubblici i rispettivi orientamenti personali in vista dell'appuntamento del 25 novembre. Per quanto mi riguarda,è il primo appuntamento di questo tipo che vivo con molto disincanto,con molta sofferenza,e dunque anche con molta preoccupazione rispetto a questo mio stato,considerata la mia conosciuta passione civile declinata da sempre anche attraverso la convinta militanza in un partito politico. Ho riflettuto e sto riflettendo molto in questi giorni e in queste settimane sul perchè di questa strana apatia che,in certi momenti peraltro,forse aggredita dalle costanti e per certi versi accattivanti sollecitazioni che,attraverso il web,socialnetwork,giornali e tv, quotidianamente solletticano la mia attenzione e la mia sensibilità,sembrano rianimare il mio vecchio interesse e la mia conclamata passione. E' però un evento di qualche giorno fa che quantomeno ha scosso in maniera netta questo mio stato d'animo,la visita in Sardegna,e a Cagliari in particolare,di Matteo Renzi. Alla Fiera di Cagliari,stracolma in ogni ordine di posto,erano facilmente individuabili tutta una serie di visi e di persone che mai avevano calcato parterre di quel tipo,e che l'altra sera invece,per la prima volta in vita loro, non hanno avuto nessuna difficoltà a farsi inquadrare dalle molte telecamere e televisioni presenti.Si capiva che la loro partecipazione era motivata,convinta,poco incline invece alla curiosità. Un dato significativo,comunque sia. Per quanto mi riguarda,seguo Renzi da quando,giovanissimo,divenne Presidente della Provincia di Firenze,poi il suo straordinario risultato delle primarie per la candidatura a sindaco,e infine gli appuntamenti alla Leopolda,che mi hanno da subito particolarmente interessato. Non posso e non voglio usare, nell'annunciare il mio voto per Matteo Renzi,quell'enfasi che anche in rete pervade commenti,analisi e considerazioni su questo argomento.Non lo faccio perchè questa peculiarità comunque non mi appartiene,e,in ogni caso, credo che i tempi nemmeno lo consentano. Tuttavia sono convinto,assolutamente convinto,che la decisione di sostenere Renzi sia quella giusta. La scorsa estate ho letto il suo libro "Stil Novo-La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter"(Rizzoli). Mi ha colpito,ognuno ovviamente la giudichi come meglio crede,la convinzione straordinaria del sindaco di Firenze,che la politica ha bisogno di uno stile nuovo appunto,che sappia coinvolgere le persone,emozionarle. Potranno sembrare considerazioni banali e soprattutto difficili da ralizzare,rapportate alla particolare congiuntura,ma oggi paradossalmente,credo,possano essere determinanti per la ripartenza del nostro Paese. In questi giorni,in occasione della sua visita in Sardegna,pur permanendo questo mio strano stato d'animo, mi sono sentito nuovamente coinvolto,magari non emozionato, ma insomma. E se a indicare all'Italia e alla sinistra la via maestra,oltrechè i mercati e le banche,fossero anche Dante e Machiavelli?

mercoledì 5 settembre 2012

Domani inizia la FestaDemocratica "Alta Marmilla-Sarcidano". Partecipiamo numerosi!













PROGRAMMA:


6 SETTEMBRE - ALES

H. 10.30 Avvio della scuola di formazione politica
Presentazione dell'attività di formazione.

Sessione mattutina - Coordina i lavori d’aula Alessio Mandis
Paolo Deidda ed Emanuela Sias - Il quadro normativo e le nuove norme associative
Claudio Martini - Responsabile nazionale forum Enti Locali PD -
Gli Enti Locali oggi, nella nuova architettura istituzionale

Sessione pomeridiana -
Ore 15.30 - Testimonianze. Incontro con Emiliano Deiana, Sindaco di Bortigiadas, responsabile regionale PD forum Piccoli Comuni

h. 17.30 Piazza Santa Maria - Apertura ufficiale della festa – Saluti del Segretario Provinciale Gianni Sanna

h. 18.00 Gli Enti Locali, tra emergenza e riordino.
coordina: Lino Zedda – Sindaco di Baradili – Componente del Consiglio delle Autonomie Locali.
Incontro con:
Claudio Martini – Responsabile nazionale forum Enti Locali PD
Gian Valerio Sanna – Consigliere regionale PD
Emiliano Deiana – Sindaco di Bortigiadas – responsabile regionale forum Piccoli Comuni PD

segue dibattito.
Ore 20.30 – apertura stand gastronomico
Ore 22.00 Spettacolo musicale con i gruppo musicale “Le Cornacchie”

8 SETTEMBRE - LACONI - cortile Palazzo Aymerich

H. 18.00 Incontro dibattito: il lavoro, al tempo della crisi.
Coordina: Giacomo Mameli.
Intervengono:
Antonio Solinas – consigliere regionale PD
Enzo Costa - Segretario regionale CGIL,
Antonio Carta - Presidente regionale Legacoop,
Francesco Porcu - Segretario regionale CNA,
Serafino Mura - Presidente Provinciale CIA
segue dibattito.
Ore 20.30 – apertura stand gastronomico
Ore 22.00 – Spettacolo musicale: con Ignazio Cadeddu e Gianni Ore- a seguire “I vaghi”

9 SETTEMBRE - LACONI - Zona castello Parco Aymerich

H. 11.00 Incontro dibattito: “Le politiche sociali in Sardegna, tra problematiche ed opportunità”.
Coordina. Gianni Sanna – Segretario Provinciale PD
Intervengono: Caterina Pes – parlamentare PD; Remo Siza – Responsabile regionale PD forum Politiche sociali; Antonello Caria – coordinatore regionale forum PD welfare; Claudio Atzori – Presidente provinciale Legacoop; Roberta Manca - segretaria provinciale CGIL
Partecipano: operatori del settore.

h. 13.00 Pranzo comunitario e chiusura della festa.


martedì 7 agosto 2012

FestaDemocratica "Marmilla-Sarcidano"









Nei giorni scorsi ho attivato un contatto con il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti in vista della FestaDemocratica "Marmilla-Sarcidano", in fase di organizzazione,chiedendogli la disponibilità a partecipare per arricchire il confronto e il dibattito,anche in vista di una fase molto delicata per la politica italiana e del nostro partito in particolare.
Debbo dire che sono rimasto molto sorpreso per la solerzia con la quale ha risposto alla mia mail con una sua privata comunicazione(che riporto quì sotto) e per la disponibilità e l'entusiasmo con cui ha colto questo invito.
Purtroppo i numerosi e comprensibili impegni istituzionali,oltrechè strettamente politici legati anche alla sua prossima candidatura a sindaco di Roma, non gli consentono di partecipare alla nostra come alle altre feste democratiche in programma in tutta Italia.
Credo tuttavia che,considerato il personaggio(il suo spessore umano prima ancora della sua caratura politica)potremo in un futuro non tanto prossimo(magari da sindaco di Roma)averlo nel nostro territorio.
Grazie mille Nicola e un grosso in bocca al lupo!


Caro Marco,
Ti ringrazio di cuore per avermi invitato all’iniziativa per la Festa Democratica “Marmilla
Sarcidano” a Laconi e mi dispiace di non poter partecipare a causa di impegni già fissati.
Voglio però esprimere tutto il mio apprezzamento per le vostre iniziative, per l’impegno e la
passione con cui, in un momento particolarmente difficile per il Paese, mettete il vostro
tempo e la vostra passione al servizio di questa causa, nella prospettiva di cambiare il
vostro territorio e l’Italia, rivendicando una passione politica costruttiva che è l’unica via per
cambiare davvero e rendere migliori le nostre città e l’Italia intera.
Mai come in questo periodo mi è successo di ricevere così tanti inviti alle feste
democratiche dal di fuori della Provincia di Roma. E’ un fatto di cui sono orgoglioso e di cui
vi ringrazio davvero: difficilmente riesco ad accettare questi inviti, essendo l’agenda
istituzionale di per sé già abbastanza fitta da non darmi grande possibilità di movimento.
Vi auguro di nuovo buon lavoro, nella speranza che avremo presto nuove occasioni per
incontrarci di persona.



Nicola Zingaretti

lunedì 16 luglio 2012

Il valore della moderazione











Torno dopo tempo,ahimè, a scrivere su questo blog per codificare una certamente banale ma per me importante considerazione,la cui rilevanza ha sempre caratterizzato la mia militanza all'interno dei partiti politici di cui ho fatto parte.
Mi riferisco ovviamente alla buriana scatenata da quel documento sui diritti civili approvato sabato pomeriggio a Roma dall'Assemblea Nazionale del Partito Democratico e da quell'ordine del giorno sul riconoscimento del matrimonio per gli omossessuali non messo in votazione sempre nella succitata assemblea.
Il mio essere cattolico "molto adulto",come da sempre mi definisco,ritengo non sia in contrasto con il mio essere un cattolico praticante.
Lo dico perchè sono un convintissimo assertore del fatto che su certi temi che possono essere considerati eticamente sensibili un cattolico(nella mia fattispecie convintamente iscritto e militante del PD) non possa stare in mezzo al guado:o si sta di qua o si sta di la, punto.
E infatti io da laico-cattolico sono assolutamente per un'approccio altrettanto laico,maturo e responsabile verso questi temi,lo ho sempre scritto e soprattutto ritengo di averlo sempre praticato.
Personalmente penso che il documento in questione rappresenti un deciso passo avanti verso un reale riconoscimento di quei diritti civili che devono portare l'Italia a diventare una Nazione moderna,al passo con i tempi e con gli Stati che da questo punto di vista hanno raggiunto standard di civiltà,di democrazia culturalmente evoluta.
Ho letto il libro di Paola Concia "La vera storia dei miei capelli bianchi",lo ho trovato molto bello,è fantastico che una eccellente persona,prima ancora che una brava e apprezzata parlamentare del PD, come lei ponga in essere ogni giorno iniziative atte a sensibilizare la pubblica opinione su un tema di così scottante attualità,come i diritti degli omo e delle lesbiche, verso il quale l'Italia finora ha fatto davvero poco o niente.Questo è sconcertante e non degno di Paese che sia civile e democratico.
Brava Paola!
Tuttavia tutte queste polemiche non solo non le condivido ma nemmeno le giustifico.
Ci si è scagliati sulla Bindi in maniera molto arrogante e pretestuosa,ironizzando sul suo essere cattolica(peraltro sempre molto coerente e severa verso il suo credo religioso)e mettendo in campo congetture inverosimili circa uno scambio di favori con Casini in vista della definitiva scelta di campo del leader udc, dando la possibilità a personaggi come Grillo e Di Pietro di ironizzare in maniera molto cattiva e ovviamente populista su di lei,come fece Berlusconi a "Porta a Porta"(ce lo siamo dimenticato?).
Ecco perchè il valore della moderazione(che ho portato con me aderendo al PD) lo ritengo non negoziabile,al pari delle mie convinzioni laiche-adulte su temi eticamente sensibili come questo.Ho apprezzato Scalfarotto quando ha detto che Gandhi,Mandela e Luther King non gridavano e non si strappavano i capelli per affermare le loro idee.

lunedì 2 aprile 2012

In ricordo di Giovanni Paolo II

Riascoltiamo oggi,dopo 34 anni,e nel giorno in cui ricorre il 7°anniversario della sua morte,questa omelia,risulta certamente di estrema attualità,sono parole che hanno un fortissimo impatto pedagogico-cristiano,luce fondamentale per illuminare la nostra vita e dissipare le tante tenebre che incontriamo in questo difficile cammino terreno!

martedì 20 marzo 2012

Il PD dopo Monti












Questa profonda e lucida riflessione,supportata dal qualificatissimo studio sottocitato,contempla in maniera straordinariamente precisa,per quanto mi riguarda,le ragioni politiche(dal punto di vista di militante-dirigente del PD) per le quali,a suo tempo e oggi ancor di più, non mi risulta possibile apprezzare,al di là degli indiscutiili meriti legati al risanamento economico del Paese a loro ascrivibili per il solo fatto di essere dei tecnici e non politici impresentabili(quale era l'ultima compagine berlusconiana) "politicamente" questo governo.
Esso rappresenta la negazione della politica,la sospensione(termine per l'occasione tanto usato e abusato ma assolutamente pertinente e appropriato a descrivere efficacemente la situazione che è venuta a configurarsi in Italia)della democrazia.
Da sottolineare,e questo è l'aspetto che più mi addolora da democratico, sino all'insediamento del governo-Monti, estremamente convinto e orgoglioso delle potenzialità programmatiche-ideali che il mio partito sarebbe stato in grado di mettere subito in campo, il giorno dopo l'uscita di scena ingloriosa di Berlusconi,lo stato dell'arte e le prospettive future che ci riguardano come PD,decisamente mutate,ma in peggio!.
E allora è proprio il caso di usare un'altra espressione molto inflazionata di questi tempi:"Dopo Monti nulla sarà più come prima!"
Anche e soprattutto per il PD,e forse anche per me!



MAPPE

Un presidente senza partiti


Secondo l'Atlante Politico realizzato da Demos per Repubblica ha fiducia nel governo il 62 per cento, il dato più alto dopo la fase di avvio di novembre. Una eventuale lista Monti sarebbe il primo partito e otterrebbe il 24 per cento dei voti

di ILVO DIAMANTI



SULLA scena politica italiana del nostro tempo si confrontano partiti senza leader (autorevoli) e un leader senza partiti. Quest'immagine è emersa nei primi quattro mesi del governo guidato da Mario Monti. e appare largamente confermata - e precisata - dal sondaggio dell'Atlante Politico di Demos 1, realizzato nei giorni scorsi.

1. La fiducia nel governo Monti, anzitutto. Espressa (con un voto pari o superiore al 6) da quasi il 62% del campione della popolazione. Il dato più alto dopo la fase di avvio, in novembre. Insieme all'auspicio, condiviso da circa 7 italiani su 10, che la sua attenzione non si limiti ai temi strettamente economici ma si allarghi a tutte le questioni importanti del Paese. Riforma elettorale, giustizia e sistema radiotelevisivo compresi. Il 27% degli intervistati, inoltre, vorrebbe che Monti, dopo le prossime elezioni, succedesse a se stesso. Indipendentemente dal risultato.

2. Ancora più elevato è il grado di considerazione "personale" verso il Premier e i suoi ministri più conosciuti. Nella classifica dei leader, Monti è saldamente in testa, con il 67% di giudizi positivi (espressi con un voto pari o superiore a 6). Lo seguono (a debita distanza) i ministri Elsa Fornero (51%) e Corrado Passera (49%). Gli altri leader - istituzionali e di partito - sono dietro. Sensibilmente lontani. Bersani, Alfano, Di Pietro, Vendola, Casini e Fini. Tutti in calo, soprattutto gli ultimi due. (Un segno che il governo e Monti stanno occupando lo spazio del Terzo Polo.) In fondo alla classifica: Berlusconi e Bossi, i leader del precedente governo. Bossi, in particolare, è largamente sopravanzato da Maroni (40%). Nella popolazione. Ma anche nell'elettorato leghista. Tra gli elettori della Lega, infatti, il 50% valuta positivamente Bossi, il 73% Maroni. Segno che il peso di Maroni nella "Lega di opposizione" si è rafforzato ulteriormente.

3. Di certo, oggi è in crisi la legittimità del "politico di professione" mentre si rafforza la credibilità dei "tecnici". Come Monti, appunto. Insieme ai suoi ministri. Oltre il 60% degli italiani, infatti, ritiene i tecnici più adatti a governare rispetto a "politici esperti".

4. È interessante osservare come questi atteggiamenti risentano in misura - ancora - limitata delle valutazioni di merito, nei confronti di specifici provvedimenti. Che sollevano, in alcuni casi, grande insoddisfazione. In particolare, una larga maggioranza di persone si dice contraria a modifiche sostanziali dell'articolo 18. Ma ciò non è sufficiente a modificare in modo sostanziale il giudizio sul governo dei tecnici, sui tecnici e sul Tecnico per eccellenza. Monti. Almeno per ora.

5. L'impopolarità dei leader di partito riflette la - e si riflette nella - sfiducia nei partiti (solo il 4% del campione esprime "molta fiducia" nei loro confronti). Dal punto di vista elettorale, tuttavia, non si rilevano grandi variazioni negli ultimi mesi. Il PD si attesta circa al 27% e il PdL al 24%. Insieme arrivano al 50%. Venti punti meno che alle elezioni del 2008. La Lega si conferma al 10%, come l'UdC. L'IdV all'8%. Mentre SEL è più indietro, intorno al 6%. Avvicinata dal Movimento 5 Stelle di Grillo. L'unica opposizione davvero extra-parlamentare. Movimentista. La No Tav come bandiera. Forse anche per questo premiata, in questa fase. L'esperienza del governo Monti ha, dunque, congelato gli orientamenti elettorali, ma li ha anche frammentati. Complicando le alleanze - precedenti e future.

6. Il PD, che all'inizio aveva beneficiato dell'esperienza del governo Monti, ora sembra soffrirne. Più dei partiti della vecchia maggioranza di Centrodestra, in lieve ripresa, nelle stime di voto. Gli elettori del PD, d'altra parte, continuano a garantire un alto grado di consenso al governo Monti. (Ha il merito di aver "sostituito" Berlusconi). Tuttavia, nella percezione degli italiani, ha mutato posizione politica. Certo, la maggioranza degli elettori (57%) continua a considerarlo "al di fuori e al di sopra" degli schieramenti politici. Ma una quota ampia e crescente di essi (20%) lo ritiene prevalentemente orientato a centro-destra.

7. Il PD risente, inoltre, del conflitto interno fra i partigiani dell'alleanza con le forze di Sinistra e i sostenitori dell'intesa con il Centro. Ma i suoi elettori appaiono turbati anche dalla tentazione di tradurre l'attuale Grande Coalizione di governo in un progetto più duraturo. Un'ipotesi che, tradotta sul piano elettorale, si fermerebbe al 47%. Cioè, circa 13 punti in meno rispetto ai consensi di cui sono accreditati i partiti dell'attuale maggioranza. Per contro, la Lega salirebbe al 19% e la Sinistra oltre il 33%. A pagare il prezzo più caro di questa ipotetica intesa sarebbe, appunto, il PD. Visto che oltre metà dei suoi elettori si sposterebbe sulla coalizione di Sinistra oppure si asterrebbe.

8. Non sorprende, allora, che, una "ipotetica" Lista Monti in una "ipotetica" competizione con gli attuali partiti, nelle intenzioni di voto degli intervistati, sia accreditata di oltre il 24% dei voti. Il che significa: il primo partito in Italia. Davanti al PdL, che, in questo scenario, otterrebbe il 19%. Il PD, terzo con il 18%, risulterebbe il più penalizzato. Perderebbe, infatti, oltre un quarto della base elettorale a favore della lista Monti. La quale, peraltro, intercetterebbe consensi trasversali. Ma, soprattutto, convincerebbe quasi un terzo degli elettori ancora incerti oppure orientati all'astensione. Sul totale degli elettori: circa il 10%.

9. Naturalmente, si tratta di una simulazione. Influenzata, peraltro, dalla popolarità di Monti in questo specifico momento. Conferma, però, lo scenario delineato all'inizio. Evoca, cioè, una Terza Repubblica che oppone Presidenti e Partiti (come suggerì, alcuni anni fa, Mauro Calise in un saggio pubblicato da Laterza). Mentre il Berlusconismo aveva imposto il modello del "Partito personale", che oggi è in declino, insieme alla Persona che lo aveva incarnato.

10. Il Montismo ne ha modificato sostanzialmente il modello. In particolare, nello "stile personale": ha affermato la Tecnica e la Competenza al posto dell'Imitazione-della-gente-comume. L'aristocrazia democratica al posto della democrazia populista. Tuttavia, Monti non si può definire un Presidente "contro" i Partiti, perché i partiti (maggiori) lo sostengono. Anche se qualcuno scorge, alle sue spalle, l'ombra di un nuovo "Partito personale", egli appare, in effetti, un "Presidente senza partito". Legittimato dal "voto" dei mercati, dal "vuoto" della politica - e dalla conferma dei sondaggi. Ma anche dalla sua distanza dai partiti. Il che sottolinea l'ultimo paradosso post-italiano (per echeggiare Eddy Berselli). Una Repubblica dove coabitano due Presidenti forti, molti partiti deboli. E un Parlamento quantomeno fragile. Una Repubblica bi-presidenziale.

lunedì 19 marzo 2012

"Auguri Babbo"













Oggi,19 Marzo,si festeggia San Giuseppe.
E'la festa del papà!
Mia figlia,due anni e mezzo,ha personalmente confezionato per me,alla scuola materna, una splendida cravatta celeste a pois rossi,e nel retro c'è scritto:

"Al mio babbo
un bacio e un fiore
al mio babbo
tanto amore
che parla e dice
che il mio babbo
sia felice!

Enrica


Grazie,Amore Mio!


Ovviamente auguri a tutti i papà!
Un augurio speciale al mio carissimo babbo!

venerdì 16 marzo 2012

Quel tragico giorno...


Oggi,16 marzo,ricorre il 34° anniversario del rapimento di Aldo Moro e della morte degli uomini della sua scorta ad opera delle Brigate Rosse.Ho un ricordo molto nitido di quella giornata,simile, per condizioni meteo,a quella odierna.Appresi questa incredibile notizia alla radio dell'auto di mio padre mentre insieme,complice la mia assenza da scuola dovuta a una brutta influenza(ero quel giorno convalescente),ci recavamo in campagna per una breve passeggiata.Ricordo il volto di babbo,all'epoca sindaco DC del paese, sbiancare improvvisamente mentre le lacrime cominciavano a solcare il suo viso.Mi disse:"questa è una notizia terribile,da far accapponare la pelle,nulla sarà più come prima",invitandomi a recitare una preghiera per quelle povere vite improvvisamente spezzate e sottratte ai rispettivi affetti e un'altra per il leader democristiano affinchè il buon Dio gli desse la forza per sopportare e superare quel momento.Sappiamo tutti come è andata e indubbiamente nulla è stato più come prima,specie in termini di moralizzazione della vita pubblica, da Moro,insieme a Berlinguer,tanto auspicata e cercata.In compenso però si è realizzato quel grande progetto politico che doveva portare alla nascita di una casa comune per progressisti e cattolici.Sebbene la strada intrapresa sia ancora lunga e irta di difficoltà rimango estremamente convinto che per noi questo cammino sia irreversibile,irrinunciabile,ragion per cui io ne vado fiero.Per intanto una nuova preghiera per quei polizziotti trucidati e una per Aldo Moro e per Enrico Berlinguer.

lunedì 12 marzo 2012

Leggere(e a prescindere da quello che si legge)è davvero il cibo della mente!










Con il rispetto e la stima che si devono avere per una figura come quella di Citati ,francamente non condivido assolutamente la sua tesi.La lettura di un certo libro piuttosto che di un altro e' un qualcosa che attiene sempre alla sfera individuale-soggettiva della persona.In virtù di' questa ineluttabile considerazione non ho,per esempio,mai letto Dan Brown e ho invece piu' volte letto libri di C...oelho e di Faletti. Forse perche'mi definisco lettore onnivoro non riesco,in questa fattispecie,a cogliere appieno la sua considerazione,e tuttavia,se e' vero che il 46 per cento degli italiani e'analfabeta di ritorno,perche'dire che e' meglio non leggere piuttosto che farlo con best-seller di autori come Dan Brown,Coelho,Faletti e eventualmente altri?


Il declino degli scrittori (e del pubblico)

Dan Brown, Coelho, Faletti:
bestseller da non leggere


Dimenticati i capolavori degli anni '60 e '70, la letteratura italiana oggi è fatta di trame banali e stile mediocre
Il declino degli scrittori (e del pubblico)

Dan Brown, Coelho, Faletti:
bestseller da non leggere

Dimenticati i capolavori degli anni '60 e '70, la letteratura italiana oggi è fatta di trame banali e stile mediocre



Paulo Coelho
Malgrado l'opinione di Roberto Calasso, credo che i lettori italiani siano peggiorati negli ultimi trenta-quarant'anni. Non c'è da meravigliarsi. La generazione letteraria del 1910-1924, che pubblicava i propri libri attorno al 1960-1970, è stata la più ricca e feconda apparsa da secoli nella letteratura italiana.

I lettori ereditavano le qualità degli scrittori. Erano lettori avventurosi e impavidi, che non temevano difficoltà di contenuto e di stile, fantasie, enigmi, allusioni, culture complicate e remote. In quegli anni libri bellissimi ebbero un successo che oggi non si potrebbe ripetere. Penso sopratutto a due casi. Quello dell' Insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera; e quello delle Nozze di Cadmo e di Armonia di Roberto Calasso. Non si era mai visto un così arduo libro di saggistica, fondato su una analisi rigorosa dei testi, conquistare un pubblico tanto vasto, e ripetere il suo successo in ogni Paese.


Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell'immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho. Intanto, continua la scomparsa dei classici. Gli italiani non hanno mai letto Dickens e Balzac. Oggi, anche Kafka (che nel 1970-80 era amatissimo) va a raggiungere Tolstoj e Borges nel vasto pozzo del dimenticatoio. Per fortuna, restano i poeti: o, almeno, una grande poetessa, Emily Dickinson.

Anche i numeri stanno calando. Negli ultimi mesi le vendite dei libri - sia delle clamorose novità sia del lento catalogo - sono discese di circa il 12 per cento rispetto agli anni precedenti: così mi dicono. È una vera catastrofe editoriale, alla quale speriamo che portino rimedio i prossimi mesi dell'anno. La spiegazione è ovvia: la crisi economica si è allargata e si è estesa. Ma niente è meno costoso, e tanto indispensabile, come il piacere della lettura.


Il principale rimedio è la diminuzione del prezzo dei libri. Molte case editrici ricorrevano, negli anni passati, a un sistema di vendite scontate (del 20 o 30 per cento) in alcuni mesi dell'anno, specialmente ottobre, novembre, dicembre. I risultati economici erano notevoli. La cosa mi sembra perfettamente legittima. Non vedo perché una casa automobilistica possa abbassare, per qualche mese, i prezzi delle vetture, e una casa editrice non possa diminuire quelli dei libri. Ma, nel 2010, è accaduta una cosa inverosimile. Sottoposto a non so quali pressioni, il governo ha di fatto ucciso le vendite straordinarie dei libri, o le ha ridotte al minimo. L'industria editoriale italiana è gracile e fragile. Se non si vuole farla affondare completamente, il provvedimento del 2010 va assolutamente abolito. Ogni editore venda i propri libri al prezzo che preferisce.

Pietro Citati

giovedì 8 marzo 2012

Otto marzo

Le mie mimose per te sono la straordinaria consapevolezza di avere al fianco una moglie,una madre e una lavoratrice esemplari,dunque una Donna Immensa...grazie!

Buon 8 marzo a tutte le donne!

Otto Marzo per Rossella

Infinitamente orgoglioso di essere sardo,italiano,europeo e cittadino del mondo come Rossella Urru

Aspettiamo la notizia,che arriverà molto presto,ne siamo certi,della liberazione di questa speciale Donna sarda!

Buon 8 marzo Rossella!

mercoledì 22 febbraio 2012

Incontro a Oristano

Sabato 25 Febbraio 2012 parteciperò ad Oristano ,alle 15,30 presso la sala conferenze Hospitalis Santi Antoni,in via Cagliari 157,fronte distributore Esso,all'assemblea con l'on Giuseppe FIORONI,deputato PD e già ministro dell'Istruzione,in cui si parlerà di "Impegno Politico dei Cattolici dopo il Governo Monti"


Una nitida fotografia!












Credo che questo editoriale dia davvero la misura di quanto politicamente è successo ma soprattutto di quel che verosimilmente accadrà nel nostro Paese a seguito dell'avvento del governo Monti.
Un'analisi che non potrà e non dovrà certamente essere elusa dai partiti,volenti o nolenti!





Una terza Repubblica contro i partiti?

di ILVO DIAMANTI


NON E' FACILE prevedere che ne sarà dei partiti e del sistema partitico italiano, dopo il governo Monti. (Mi accontento di prevedere il passato. E non sempre mi riesce bene.) Tuttavia, mi sentirei di avanzare un'ipotesi. Facile. Nulla resterà come prima. L'esperienza del governo tecnico, infatti, sta mettendo a dura prova la tenuta dei principali partiti, ma anche - soprattutto - delle alleanze e delle coalizioni precedenti.

Oggi, d'altronde, appare in crisi la legittimazione stessa dei partiti in quanto tali. La fiducia nei loro confronti è, infatti, scesa a livelli mai toccati in passato (4%: Demos, gennaio 2012). D'altronde, non può essere privo di conseguenze, il fatto che la gestione della crisi sia stata affidata a un governo di "tecnici". Segno dell'incapacità dei partiti di assumere responsabilità - di governo ma anche di opposizione - di fronte agli elettori. Da ciò deriva la "popolarità" di questo governo (una settimana fa l'Ipsos la stimava intorno al 60%), in grado di prendere decisioni "impopolari". Mentre i partiti sostengono le decisioni del governo tecnico - oppure vi si oppongono - al "coperto". Dietro le quinte. In Parlamento. Nulla resterà come prima, nei partiti e nel sistema partitico, dopo Monti. Perché questa fase di "sospensione" ne accentua le difficoltà.
Quanto alla dimensione organizzativa e al rapporto con la propria base, basti osservare quel che sta succedendo nei principali partiti - Pdl e Pd. Il Pdl ha avviato una fase congressuale per affrontare il dopo-Berlusconi. Ma ciò che sta avvenendo in numerose province - sia del Sud che del Nord (in Veneto e a Vicenza, ad esempio) - dimostra quanto il partito sia esposto alle pressioni - non sempre lecite - di lobby locali. Non a caso il segretario del partito, Angelino Alfano, alcuni giorni fa, ha dovuto precisare - e minacciare - che "non faremo svolgere i congressi se si riscontrano situazioni gravi, nelle quali non vediamo chiaro".

D'altra parte, nel Pd, le tensioni e le divisioni, a livello nazionale e locale, sono diffuse ed evidenti. E hanno prodotto effetti non desiderati - per quanto prevedibili. Soprattutto nella selezione dei candidati alle prossime elezioni amministrative, mediante le "primarie". Le quali continuano ad essere utilizzate "à la carte". Talora a livello di partito, altre volte di coalizione. Con il risultato, in alcuni casi, da ultimo a Genova (e prima in Puglia, a Milano e a Cagliari), di favorire il candidato di un altro partito (seppure alleato). Da ciò il paradosso. Le primarie, "mito fondativo del Pd", secondo Arturo Parisi (forse il primo a concepirle), hanno legittimato leader di altri partiti - alleati ma anche concorrenti. E indebolito, di conseguenza, la leadership del Pd nel Centrosinistra. Locale e nazionale.

Ma altrettanto critica appare la questione dei rapporti e delle alleanze tra i partiti. Nell'attuale maggioranza, solo l'Udc e il Terzo Polo appaiono "organici" al governo Monti. Voluto e imposto dal Presidente Napolitano. I principali partiti della maggioranza, Pdl e Pd, considerano questa coabitazione "necessaria", quasi "coatta". Ma incoerente con la loro base elettorale e con la loro storia politica.

Elettori e dirigenti del Pdl, in particolare, vedono il governo Monti come il soggetto che ha "scalzato" il Centrodestra, guidato da Berlusconi. Per questo stesso motivo il governo Monti piace agli elettori del Pd. I quali, tuttavia, ne avversano alcune importanti scelte - dalle pensioni al mercato del lavoro e all'art. 18. Le considerano coerenti con le politiche del Centrodestra. Pdl e Pd, inoltre, si vedono "sfidati" dai loro tradizionali alleati - la Lega a centrodestra, Idv e Sel, a centrosinistra. I quali, a loro volta, da soli, rischiano di divenire periferici. Alle elezioni amministrative che incombono. Tanto più in quelle politiche, del prossimo anno.

Da ciò emerge una serie di conseguenze rilevanti, in prospettiva futura.
1. Se i partiti della Seconda Repubblica si sono personalizzati, la leadership personale dei partiti si sta rapidamente indebolendo. L'unico leader che mantenga un alto livello di consensi, tra gli elettori, infatti, è Monti - intorno al 60%. Tutti i leader di partito, da metà gennaio ad oggi, hanno, infatti, perso consensi e si posizionano molto più in basso.
2. Anche i partiti maggiori, però, hanno perduto consensi. Il Pdl, in particolare, ridotto al 22%. Mentre il Pd, da gennaio (quando aveva superato il 29%), sta declinando, seppure lentamente.
3. Se si valuta la posizione degli elettori sullo spazio politico, però, emerge con chiarezza come la struttura delle coalizioni non sia cambiata. In particolare, la distanza tra gli elettori del Pdl e del Pd si è allargata, per reazione alla coabitazione "coatta".
Tuttavia, i giudizi sulle specifiche questioni politiche e sulle scelte politiche del governo appaiono meno condizionate dall'appartenenza di partito e più dettate dal merito. Quindi meno distanti fra loro.
4. In altri termini, l'esperienza del governo Monti ha ridimensionato la frattura pro-antiberlusconiana. (Anche perché Berlusconi, per ora, se ne sta sullo sfondo.) Ma sta delineando una nuova frattura, o meglio, "distinzione". Pro-antimontiana. Che sta indebolendo i partiti maggiori a favore degli alleati di ieri - oggi all'opposizione. Peraltro, incapaci, da soli, di costruire una vera alternativa.

Da ciò la tentazione del Pd e del Pdl: difendersi dalla concorrenza degli alleati - oggi all'opposizione - con una legge elettorale che renda loro difficile correre da soli. Tuttavia, se i partiti - di maggioranza e opposizione - non dessero soluzione al loro deficit di rappresentanza sociale e di leadership, difficilmente potrebbero - potranno - riprendere la guida del Paese. Andare oltre l'emergenza.

Soprattutto se il governo Monti ottenesse i risultati sperati, dal punto di vista economico e istituzionale. Se svelenisse davvero il clima sociale e d'opinione. Allora fra un anno diverrebbe un "soggetto politico" forte. E potrebbe coltivare l'idea di proseguire l'esperienza "in proprio". Oppure, qualcun altro potrebbe occuparne lo spazio, raccoglierne l'eredità. Tecnica ed extra-politica. Cercando autonomamente il consenso elettorale, con il sostegno di una parte, almeno, dell'attuale maggioranza. Dove non mancano coloro a cui non spiacerebbe continuare questo esperimento.
In un Paese che ha conosciuto 50 anni di democrazia bloccata, intorno alla Dc e ai suoi alleati. E che arranca da vent'anni, inseguendo un bipolarismo sin qui ir-realizzato. Si tratterebbe di una Terza Repubblica che, per alcuni aspetti, rammenta e ridisegna la Prima. Con una differenza importante. Non sarebbe fondata "da" e "su", ma "contro" i partiti.

giovedì 16 febbraio 2012

Caro Celentano...













di Don Marco Sanavio

Prete della diocesi di Padova che dal 1999 si occupa di coniugare il mondo della tecnologia con la pastorale. Ha iniziato a collaborare con alcuni uffici della Conferenza episcopale italiana in occasione del Grande giubileo del 2000, creando il sito www.giovani.org, e ha seguito progetti multimediali all’interno del consiglio direttivo dell’Associazione webmaster cattolici italiani. A Padova è responsabile della Pastorale dei nuovi mezzi di comunicazione. Da un paio d’anni ha avviato la Scuola per educatore mediale.


Un prete in Rete


Caro Celentano,di quali preti parli?



Caro Celentano, di quali preti parli? Caro Celentano,
mi sento autorizzato a risponderti perché ieri sera mi hai interpellato direttamente parlando alla “camera dove son dentro i preti”. Sono uno di quei preti che la predica la preparano, cercano di curarla facendo attenzione al senso, alla concretezza della vita, al ritmo e anche al volume ottimale per coloro che stanno in fondo alla chiesa e, secondo te, sentono male. Mi auguro davvero che tu non li abbia confusi con gli "ultimi" di cui si parla nel Vangelo. Sarebbe grave.
Nelle mie prediche, più che parlare di paradiso, parlo della Risurrezione di Cristo che è il vero e proprio centro della mia fede e anche della tua, se ti professi cattolico. Racconto della salvezza che Lui ci ha portato.


Forse c’è da fare qualche passo anche a livello teologico. Ci è stata promessa la risurrezione della carne (lo dico ogni domenica nel "Credo"), la vita piena, nel giorno del nostro battesimo: di questo parlo io come centinaia di altri preti e frati che ho conosciuto nella mia vita.
Ma non posso tacere di altri argomenti che riguardano il quotidiano della gente e che, talvolta, hanno bisogno di essere illuminati dal Vangelo per diventare segnali indicatori dell'altra dimensione che sembra starti tanto a cuore.
E per farla completa collaboro anche con Famiglia Cristiana, un giornale di cui tu auspichi la chiusura ma che in realtà io trovo estremamente coraggioso, onesto e libero, tanto da dire pane al pane e vino al vino, anche quando si tratta del tuo modo singolare di destinare parte del cachet ai poveri. Non è una rivista nata per dare consolazione ai malati ma per aiutare le persone a collegare la logica del Vangelo con la concretezza della vita. Ovviamente per capirlo bisognerebbe leggerla.


Proprio per il fatto che Gesù Cristo si è incarnato, parlare di ogni ambito della vita dell’uomo alla luce del Vangelo può orientare alla condizione ultima che, ribadisco, è la risurrezione della carne, la vita che continua.
Se una rivista molto popolare fa questo, a mio parere, ha già dato un aiuto grande alla mia azione pastorale nella quale, tra l’altro, suggerisco sempre che la carità dovrebbe essere discreta e non strombazzata per essere più vera.
Me lo insegna il Vangelo. Peccato che per alzare l’audience si debba ricorrere ad un lanciatore di coltelli che, però, continua ad allenarsi guardando la vita dallo specchietto retrovisore. Rischioso... forse basterebbe cantare bene e parlare di meno...


Qualcuno in Rete ha ipotizzato che si potrebbe chiudere anche un Festival dalle spese così esorbitanti in un periodo in cui molte famiglie non arrivano a fine mese costi che, tra l’altro, rendono scandaloso il fatto che si inceppi il sistema di votazione e la gara si debba ripetere. Ma io non arrivo a tanto.
Mi limito a suggerire che una infinitesima parte del tuo cachet tu la possa destinare a migliorare i problemi tecnici che ci rendono più difficile la vita, a cominciare dall’impianto audio delle chiese che frequenti tu e dal sistema di votazione della giuria dell’Ariston. E magari anche a qualche buon libro di teologia.

mercoledì 15 febbraio 2012

Correlazione

Trovo una straordinaria e fantastica correlazione tra lo splendido editoriale di Ezio Mauro di ieri su Repubblica su l'Europa e la crisi e la risposta di Bersani,altrettanto fantastica,sempre ieri su Repubblica alle paure di Eugenio Scalfari,ma anche di chi,come me,ne è venuto a conoscenza,su un presunto tentativo da parte di alcuni importanti dirigenti del partito di trasformare il Pd in un partito socialista,una sorta di succursale del Pse.
Ebbene,ci sono passaggi nel fondo di Mauro che,a mio dire,sottolineano implicitamente in modo estremamente lucido e intelligente anche il ruolo che un partito riformista come il Pd,proprio per il fatto di essere tale,deve necessariamente declinare nel suo lavoro di "ricostruzione" dell'Europa.
Lo stesso che emerge chiaramente nella bella lettera di Bersani.
E allora avanti tutta!



Restituire un futuro al vecchio Continente


EZIO MAURO


ATENE in fiamme, il Parlamento che approva la manovra di tagli e sacrifici, i mercati che applaudono. E il popolo, ci domandiamo tutti, e i cittadini? Sembra che il nuovo ordine europeo possa instaurarsi prescindendo dal consenso, dalla pubblica opinione, dalla fiducia. L'Europa si presenta come una grande banca, un'istituzione a sangue freddo, un arbitro regolatore ma senz'anima, dominato dall'unica religione dei parametri e impegnato nell'unica battaglia di contenimento del debito, prima e assoluta emergenza del continente. Ma l'emergenza può sostituire la politica, soppiantandola? E c'è qualcosa di vivo dietro i tagli, i sacrifici e i parametri europei?

La Repubblica ha condotto su questo tema una grande discussione pubblica, con gli interventi dei direttori delle grandi testate giornalistiche occidentali. Tutti, anche gli inglesi con il loro spirito critico sulla costruzione istituzionale e monetaria europea, hanno convenuto che si esce dalla crisi con più Europa, non con meno.

E tutti hanno denunciato la debolezza della politica che rende l'Europa, come dice il direttore del Times James Harding, "senza leadership e senza soluzione", un continente senza visione, senza coraggio, e dunque incapace di offrire ai cittadini traguardi simbolici che possano ricostruire una speranza oltre l'orizzonte preoccupante della fase che stiamo vivendo. Ma non solo.

Per gli osservatori europei i rischi sono molto maggiori di quelli che vediamo a occhio nudo. Le tre "A" che davvero ci interpellano (Asia, America, Africa) rischiano secondo Erik Izraelewicz, direttore di Le Monde, di marginalizzare l'Europa, troppo piccola e divisa per le nuove sfide globali. Per Arianna Huffington (Huffington Post) e per John Micklethwait, direttore dell'Economist stiamo diventando un continente "sadomasochista" che punta tutto sull'austerity, un'austerity che non farà altro che alimentare la recessione, perché come spiega Laurent Joffrin, direttore del Nouvel Observateur, il rimborso del debito non può fare le veci di una politica europea che non c'è.

Ma il vero allarme è quello per la democrazia. I direttori di due giornali tedeschi, Giovanni di Lorenzo della Zeit e Heribert Prantl della Sueddeutsche Zeitung pongono la questione apertamente: "Il pericolo dall'interno è la sfiducia verso la democrazia, la tendenza a chiedersi se è ancora il sistema più efficiente oppure no. A lungo termine la sfida dell'Europa è questa", dice di Lorenzo.

Se i governi nazionali e la Commissione pensano di difendersi da soli si sbagliano, aggiunge Prantl: "Per farcela hanno bisogno del sostegno delle società dei Paesi membri, della fiducia dei cittadini, perché senza questa fiducia qualsiasi ombrello resta instabile". Come dire che i saldi dell'auterità da soli non bastano. Anzi, avverte il direttore del Guardian Alan Rusbridger, se gli sforzi per la convergenza finanziaria "dovessere essere la causa dello smantellamento dei sistemi di redistribuzione e di welfare dai quali dipendono milioni di europei dei ceti meno abbienti", si rischierebbero "reazioni nazionalistiche e populiste anche violente in quasi tutti gli Stati".

È il problema posto infine del direttore del País, Javier Moreno: la legittimità delle scelte europee: "Con quanta legittimità si possono prendere decisioni per salvare l'Europa senza tener conto degli europei? È accettabile sacrificare la sovranità nazionale per salvare l'Unione Europea? Abbiamo accettato definitivamente l'idea che sia possibile governare senza chiedere ai cittadini il loro parere?".

Il nodo che viene al pettine è vecchio come l'euro. Un nodo di sovranità, di potestà, di responsabilità intrecciate e mai definitivamente risolte. La moneta unica è stata insieme un atto di fede e di coraggio, dunque un gesto politico che la storia economica del mondo moderno non aveva mai conosciuto, per di più nato nel cuore del Vecchio Continente dove nel Novecento erano nate le guerre e i totalitarismi, con le ideologie trasformate in Stati e partiti.

Ma l'euro non è diventato un principio costituente del nuovo ordine europeo, perché si è realizzato sotto la linea d'ombra della politica, riducendosi a strumento più che a soggetto, mentre ogni passo della sua costruzione fingeva ipocritamente di ignorare il successivo, non guardando al contesto.

Con la moneta unica l'Europa poteva trasformarsi da mercato a soggetto politico, e invece l'euro è nato politicamente e culturalmente sterile, come se fosse soltanto la proiezione geometrica dei parametri di Maastricht e poco più: parametri indispensabili per forzare la convergenza di base e l'uniformità tra i Paesi, ma sordi e ciechi per definizione, in quanto non contemplano la variabile decisiva della pubblica opinione e sono indifferenti ad un problema capitale delle democrazie occidentali, quello appunto della fiducia, della partecipazione e della condivisione, vale a dire del consenso.

La moneta è rimasta un "caffè freddo", come dicevano i tedeschi nel 2001, una moneta nuda perché è senza uno Stato che possa batterla, senza un esercito che sappia difenderla, senza un governo che riesca a guidarla, senza una politica estera che la rappresenti e soprattutto senza un sovrano capace di "spenderla" politicamente nel mondo.

E tuttavia quel gesto di coraggio è il punto simbolico e concreto più alto raggiunto dalla politica nel nostro continente, dopo le divisioni delle guerre. Oggi ci accorgiamo che l'inclusione del consenso è indispensabile, per non far perdere all'Europa e all'euro la fiducia degli europei. Ma dobbiamo anche dire che questa difesa improvvisa delle sovranità e delle autonomie nazionali davanti a Bruxelles e Francoforte nasconde un problema: l'incapacità di molti governi (e delle loro pubbliche opinioni, giornali compresi, va aggiunto) di rispettare le regole comuni che tutta l'Europa si era data, e che sono state per troppi anni disattese o addirittura aggirate.

Il problema è che tutto il sistema di governance dell'Occidente deve essere rivisto sotto l'urto della crisi. Per la prima volta scopriamo che la ripresa americana rischia di non trainare l'Europa, appesantita dal carico dei debiti sovrani, dalla miopia di un'austerity che non stimola la crescita: se il problema-opportunità della Cina trasformerà nel secondo mandato Obama in un presidente "asiatico" il nostro continente toccherà con mano un isolamento a cui non è abituato e soprattutto non è preparato, avendo abitato per decenni il concetto di Occidente senza una precisa idea di sé, e senza una politica estera conseguente.

Ma gli altri problemi sono tutti indigeni, nascono e crescono in Europa. Come regoleremo il nuovo rapporto di sovranità tra gli Stati nazionali oggi esautorati dall'Europa e le istituzioni comunitarie? Come armonizzeremo la leadership europea di fatto (Merkel) con quella di diritto (Barroso e Van Rompuy)? Come ci comporteremo con una Banca Centrale benedetta perché compra il debito pubblico degli Stati, ma sempre più soggetto attivo e diretto dell'Europa, senza avere alcuna rappresentanza dei cittadini? E infine, come risponderemo a quelle spinte nazionali e sociali (le parole sono proprio queste) che stanno riemergendo a destra e a sinistra davanti ad una politica europea che non sembra una politica, ma il bando di un sovrano a cui dobbiamo soltanto ottemperare?

La parola, per fortuna e come sempre, tocca alla politica, all'establishment europeo, alle cancellerie e alla cultura: anche se la dominante è la crisi, siamo in realtà all'inizio di un processo di fondazione istituzionale, e un nuovo europeismo può diventare l'unica ideologia superstite e utile, dopo la sconfitta di tutte le altre. Tocca alla classe dirigente europea, nel suo insieme, riprendere il coraggio incompiuto dell'euro e usare la moneta e il mercato, dopo un decennio di strumentalità neutra, come suscitatori e fondatori di vere istituzioni sovranazionali e democratiche: per riunire l'Europa, la politica e i cittadini in un destino condiviso del continente, in un'idea forza e in una visione. Che non può essere soltanto tagli e sacrifici. Una speranza europea è ancora possibile, anzi è l'unica arma contro la crisi.



Non siamo più un partito in cerca di un Dna


Pierluigi Bersani




Caro direttore,
rispondo volentieri alla sollecitazione di Eugenio Scalfari affinché mi pronunci sulla possibilità che il Pd sia ricondotto ad un Partito Socialdemocratico. Con tutta franchezza (e non facendo certo difetto ai democratici la pluralità di opinioni!) non conosco né documenti né intenzioni di dirigenti di Partito che pongano quel problema.


Nessuno discute di questo. Piuttosto si discute, da noi e in Europa, su come configurare i rapporti fra Partito Democratico e famiglia dei Socialisti Europei ai cui appuntamenti siamo invitati ed attivamente presenti senza esserne membri. Parliamo dunque di questo e parliamone avendo negli occhi le immagini del dramma greco, ben evitabile con una diversa politica europea, così da andare alla sostanza evitando quegli stucchevoli giochi di posizionamento che ogni tanto (sempre meno, per fortuna!) riemergono nel Pd.


Innanzitutto una premessa, che devo ad un elettore come Eugenio Scalfari. Dopo quattro anni siamo usciti dal problema identitario. Non abbiamo certo finito il nostro lavoro di costruzione né abbiamo corretto tutti i nostri difetti, ma non siamo più una ipotesi o un esperimento o un partito in cerca di Dna.


Siamo il primo partito italiano. Con l'aiuto di tutti, davvero di tutti, abbiamo fatto i conti con riflessi nostalgici e continuisti e con nuovismi vacui. Ci siamo appassionati alla sintesi di culture riformiste antiche e nuove, e vogliamo che vivano contaminandosi e non da separate in casa. Abbiamo ribadito il ruolo della politica riconoscendone tuttavia i limiti; vogliamo regole nuove nella politica e sperimentiamo con convinzione l'apertura alle espressioni civiche e al protagonismo dei cittadini. Siamo un Partito progressista, un Partito del lavoro, della Costituzione, dell'Unità della nazione. Un Partito profondamente europeista. Ormai esistiamo. Non possiamo più permetterci sedute psicanalitiche. Il nostro profilo sarà semplicemente il prodotto di quello di ciò che diremo e che faremo per l'Italia e per l'Europa, sostenendo i valori e gli interessi che vogliamo rappresentare.


In Europa siamo ad un tornante storico. Nei giorni scorsi il direttore del Times ha raffigurato plasticamente su Repubblica i dilemmi che abbiamo di fronte. In conseguenza della sbornia liberista si è radicata (non solo in Germania) una ideologia difensiva e di ripiegamento che è stata corteggiata dalla Destra ed estremizzata dai populismi. Questa ideologia ci sta portando tutti al disastro. Che la risposta a tutto questo possa venire solo da periodici vertici di Bruxelles, è una drammatica illusione. Serve una battaglia politica ed ideale, serve una voce sola dei progressisti che si faccia sentire in Europa, serve una piattaforma comune.


Ci stiamo lavorando con intensità, in particolare con la Spd di Gabriel con Francois Hollande.


Emergono ormai proposte concrete per una diversa politica europea. Le sosterremo assieme nella prossime campagne elettorali, a cominciare da quella francese. Ecco allora la domanda di prospettiva: quale soggetto puoi interpretare stabilmente una politica comune dei progressisti, a fronte di forze conservatrici europee che hanno mostrato di sapere ampliare le loro relazioni politiche?


Nel Parlamento Europeo c'è stata una evoluzione positiva: si è formato il gruppo dei Socialisti e dei Democratici Europei, che sta lavorando bene. Ci si deve impegnare per un esito simile sul piano politico: la costruzione cioè di un soggetto politico europeo aperto ai riformisti di diversa ispirazione. Non è forse geneticamente connaturata al Pd una simile proposta? Non è forse coerente con quello che diciamo a proposito di una organizzazione internazionale dei progressisti che oltrepassi le antiche famiglie e che raccolga i soggetti socialisti, democratici e liberali, di tradizione ambientalista o di ispirazione religiosa, che in tutto il mondo combattono il liberismo della destra conservatrice? Noi dunque opereremo in questa chiave.


Con due avvertenze. La prima: non cadremo nella pretesa ridicola di dare lezioni e terremo conto del peso reale delle forze progressiste in campo in Europa. La seconda: non avremo timore di contaminazioni per eccesso di vicinato. Ci affideremo con fiducia alla forza della nostra esperienza e delle nostre convinzioni. Chi volesse osservare la discussione nella Spd e nei verdi tedeschi o le recenti pratiche politiche dei Socialisti francesi potrebbe forse riconoscere qualche traccia delle nostre buone ragioni.

Di nuovo!


Questo articolo rappresenta in maniera plastica quello che è,purtroppo,lo stato dell'arte all'interno del Pd.
La cosa incredibile è che di questi editoriali ne verrano certamente degli altri,a significare che nulla cambia e che evidentemente tutti questi precedenti incredibili continuano a non insegnarci niente!



Il termometro e la febbre dell'elettore di sinistra

Concita De Gregorio


LE PRIMARIE sono un termometro, non serve farle sparire per eliminare la febbre. Non serve nemmeno cambiare le regole, inventarsi un termometro che segni sempre 36: se la febbre è a 40 bisogna curarla, diffidare di chi non la vede o la considera un complotto. Bisogna pretendere un altro medico, uno che abbia i farmaci e conosca i dosaggi. Le primarie non si perdono mai, che siano di partito o di coalizione, perché sono fatte per misurare il polso dell'elettorato, capire il suo stato d'animo e dare voce ai cittadini: che siano loro a dire da chi vorrebbero essere governati, e la gara cominci. La gara, va da sé, è quella che viene dopo: è la competizione con l'avversario politico. Le primarie sono fatte per trovare la persona giusta per vincere le elezioni. Sono la restituzione temporanea di una delega: scelto, insieme ai cittadini, il candidato ecco che il sistema dei partiti può attrezzarsi alla contesa, affrontare la campagna elettorale, risultare convincente e coeso, se neè capace, ed eventualmente vincere. In via del tutto teorica si può dare il caso che la prospettiva strategica sia al contrario quella di perdere le elezioni: in questa eventualità è senz'altro opportuno che un partito proponga per le primarie un candidato debole e poco amato e che provi ad imporlo sugli altri candidati di coalizione. Solo in questo caso se il suo candidato fosse sconfitto alle primarie e l'antagonista di altra matrice politica vincesse le elezioni il partito in questione potrebbe dire di aver perso. Avrebbe perso la chance di perdere.

Sarebbe come se il Pd, dopo aver proposto Morcone come candidato a Napoli, si fosse sentito sconfitto dalla vittoria di De Magistris. Come se, in via teorica.

Ma veniamo alla febbre, e parliamo di Genova.

Bisogna farsi alcune domande semplici. La prima è come proceda il Partito democratico nella scelta dei candidati. Quali sono i criteri? La fedeltà al leader, l'appartenenza a una corrente, la capacità di interdizione della corrente interna contraria, l'altezza, il sesso, la religione, il caso? Marta Vincenzi è sindaco in carica. Il partito romano e regionale, ramificazioni locali comprese, non l'ha mai sostenuta: imprevedibile, poco duttile, cattivo carattere. Unica voce in suo soccorso da Roma, nelle ultime settimane, quella di Ignazio Marino. Se il Pd avesse detto «ha mal governato» avrebbe avuto senso schierare un altro candidato, ma non l'ha fatto. Ha messo in campo Roberta Pinotti per sbarrarle il passo. Cattolica, parlamentare, sostenuta dall' establishment: Pinotti è rapidamente diventata "l'altra", come tale è stata vissuta da un elettorato stufo oltre il limite di guerre intestine, incertezze, ipocrisie, manovre sotterranee. Pochi giorni fa a Genova un alto dirigente democratico mi ha detto che si sarebbe trattato di una battaglia tra le due candidate, che Doria non aveva nessuna chance, «Doria prenderà il voto dei grillini». Anche di questa miopia bisognerebbe parlare finalmente chiaro: la stessa miopia che faceva prevedere anni fa ai dirigenti romani la vittoria di Boccia su Vendola in Puglia, la loro avversione a De Magistris e a Pisapia, la completa sottovalutazione di Zedda nel suk delle diatribe di partito sarde e, per parlare del futuro prossimo venturo, la ridicolizzazione del candidato Bachelet nelle primarie del Pd Lazio, la contrapposizione fra Borsellino e Faraone a Palermo. Anche a Palermo, il 4 marzo, ci saranno due candidati del Pd. A Monza, qualche settimana fa, ce n'erano quattro. Ma il punto non è neppure questo, come sembra credere Bersani, per quanto trovarsi di fronte a quattro candidati dello stesso partito possa far pensare gli elettori ad una scarsa coesione del medesimo, diciamo pure ad una certa ostilità interna. Il punto è la distanza fra chi prende queste decisioni e il suo elettorato. L'incapacità di leggere la realtà e di capirla. La difesa della ditta non può essere fatta a dispetto di chi quella ditta la deve sostenere. Uno su tre degli elettori del Pd votarono Pisapia a Milano, e sono gli elettori del Pd (ex elettori, elettori delusi, attuali elettori) ad aver votato Doria ieri. Non c'è nulla di antipolitico e di demagogico in questo, è il modo più chiaro che i cittadini hanno per parlare ai partiti (ai loro partiti) e dire che non è la politica che non vogliono, ma questa politica. Non i partiti, ma questi partiti. Di più chiaro ancora potrebbe esserci solo un disegno: cambi la classe dirigente, si faccia spazio ad una generazione nuova, si azzerino le guerre intestine di corrente, le rendite di posizione e di apparato. Ci si prepari a tornare alla politica, anche a livello nazionale, affidandosi alle competenze, alle passioni, ai talenti: l'Italia ne è colma, i partiti ne dispongono per quanto si ostinino a ignorarli, a trattarli da guastatori quando si fanno presenti. Diversamente, le accuse di antipolitica suoneranno sempre e solo come autodifesa del proprio posto da occuparsi a vita. Diversamente qualunque outsider forte della dote dell'essere "contro", dell'essere "altro" rispetto al sistema vincerà sempre più nettamente. Diversamente il Pd, che ha le primarie nel suo Dna - e non è un caso che di dna si torni a parlare oggi - farà la bestia da soma che offre alla coalizione gli spazi, le strutture, la logistica, il sostegno per far emergere candidati altrui. Che per l'Italia sarà anche un bene, per il partito moltissimo di meno. Dice oggi Giovanni Bachelet: «Un po' dei nostri dirigenti vengono da partiti nei quali contavano solo le tessere e questa storia delle primarie non l'hanno digerita fino in fondo. Questi dirigenti sentono che con le primarie stanno mollando ai cittadini un pezzo importante di sovranità e di potere, non vorrebbero mai averle inventate, se le vorrebbero rimangiare.

A loro piacerebbero primarie di incoronazione in cui prima i dirigenti decidono chi vince e poi si vota. Non piacciono, invece, primarie nelle quali prima si vota e poi si sa chi ha vinto».

È così, e rompere tutti i termometri del regno non servirà a nasconderlo. A un certo punto, immaginiamo, verrà il giorno in cui gli attuali dirigenti del Pd vorranno osservare la realtà anziché licenziarla come ostile: gli italiani hanno voglia di politica, e persino di farla dentro i partiti. È di questi partiti, di questa politica e delle sue usurate alchimie che diffidano. A dar loro ascolto la vera antipolitica, quella forcaiola e qualunquista, sarebbe sconfitta con la sola arma possibile: la passione per il bene comune, l'interesse di tutti sopra quello di pochi.

sabato 11 febbraio 2012

La nuova pietà!





Una donna velata di nero tiene tra le braccia un uomo della sua famiglia il cui corpo è stremato dall'orrore della repressione in Yemen. E' la foto con la quale Samuel Aranda, reporter spagnolo, ha vinto il World press photo 2011. E' stato il solo fotografo occidentale presente in Yemen durante le rivolte.

Koyo Kouoh, membro della giuria, ha spiegato: “Questa foto parla per un'intera regione. E' valida per lo Yemen, l'Egitto, la Tunisia, la Libia, la Siria... e mostra il ruolo che hanno avuto le donne, non solo in qualità di soggetti che si sono prese cura degli altri, ma anche in qualità di persone attive in movimento”.

mercoledì 8 febbraio 2012

Italialand











Questo lucidissimo editoriale di Miguel Gotor pubblicato ieri su "Repubblica"rappresenta,per come io la penso,l'immagine plastica della lontananza siderale che separa questo governo e i suoi rappresentanti dalla drammatica situazione economica che ogni giorno di più attanaglia i comuni cittadini italiani.





“Gli stereotipi dei tecnici”(Miguel Gotor).
07/02/2012 di triskel182

Ancora un inciampo comunicativo, l´ennesimo, da parte del governo sul tema del lavoro. Questa volta è toccato al ministro dell´Interno, Anna Maria Cancellieri, sentenziare che i giovani italiani pretenderebbero il posto fisso per continuare a stare «accanto a mammà».
Sorprende l´uso di stereotipi ormai consunti che sembrano staccati da un album di fotografie ingiallite in cui si racconta un´Italia che non esiste più da almeno trent´anni: quella col posto fisso che il padre trasmetteva al figlio al momento del pensionamento come un´eredità di famiglia.
E dove, per sentirsi “moderni”, bastava prendersela con i “figli mammoni”, sempre quelli degli altri, naturalmente, e intanto iscrivere i propri a “informatica” o a “ingegneria” così troveranno di sicuro un buon lavoro… Del resto, già a metà degli anni Ottanta si rideva guardando su Drive in le avventure di uno studente calabrese fuori corso “salito” a Milano per laurearsi alla «Bbbocconi!». È possibile che siamo ancora tutti fermi lì, come tanti fossili ideologici con i nostri tic e battute?
Eppure questo gusto per la caricatura vintage denuncia un distacco dalla realtà del mondo del lavoro di oggi – si direbbe una rimozione tecnocratica – che merita di essere approfondito. Anzitutto rivela una difficoltà a uscire dal proprio orizzonte sociale, che un tempo si sarebbe detto di classe: l´Italia che lavora, soprattutto quella giovanile, non è composta soltanto dai figli dell´alta borghesia urbana delle libere professioni o dell´accademia, per antichissima tradizione nel nostro Paese a vocazione cosmopolita ed esterofila. E non è formata solo da quanti vivono l´ebbrezza della mobilità e il gusto creativo per la flessibilità a Bruxelles, Ginevra o New York, tra studi di avvocati, organizzazioni internazionali e uffici di consulenza finanziaria, con stipendi e fringe benefits di qualche migliaio di euro.
Il valore di queste forme di lavoro è fuori discussione, ma non è condivisibile che il punto di vista di una parte minoritaria e privilegiata della società pretenda di trasformarsi in senso comune e il senso comune prima in caricatura e poi in sberleffo. Tutti quanti vorrebbero essere flessibili a quelle condizioni, ma chi governa ha il dovere di alzare la testa dai propri saperi libreschi o dalle eccezionali esperienze professionali che hanno caratterizzato la sua vita: e non soltanto perché un altro mondo è possibile, ma perché esiste per davvero al di fuori di quell´esclusivo recinto e la politica, anche quando è tecnica, ha il dovere civile di tenerlo bene in conto.
In secondo luogo, quest´atteggiamento sembra alimentato da una sorta di “yuppismo” di ritorno che lascia interdetti. Come se fossimo rimasti ibernati dentro gli anni Ottanta, ci risvegliassimo all´improvviso da un brutto sogno, e Berlusconi, con Sacconi e Brunetta, non avessero governato per otto degli ultimi dieci anni, partecipando al fallimento delle politiche neo liberiste su scala mondiale. Sono trent´anni che chi entra nel mondo del lavoro lo fa con contratti a tempo determinato e trascorre il periodo più importante della sua vita, quello della formazione e dell´entusiasmo, passando da un mestiere all´altro. Sono trent´anni che i giovani italiani hanno scoperto il precariato come unica dimensione della loro vita professionale, presente e futura. Altro che posto fisso!
Nel frattempo, i ragazzi del Sud hanno ripreso a emigrare, la disoccupazione giovanile è aumentata ovunque e i salari non superano i 1000-1200 euro, se e quando si ha la fortuna di averne uno. La maggioranza dei giovani che non hanno la fortuna di essere protetti dalla famiglia o dalla rendita, vive, in un periodo di crisi come questo, sulla soglia della povertà, a un passo da un baratro che non osa guardare e gli impedisce di progettare il futuro: basta un incidente, un errore, un divorzio con alimenti da pagare e ci si ritrova stritolati dall´angoscia di non farcela più. E non si parla solo di giovani proletari, che pure meritano la massima attenzione, ma anche dei figli della classe media, i primi a dover tollerare la frustrazione di avere prospettive di vita inferiori a quelle dei genitori. E non si può nemmeno ignorare che in intere regioni del Paese la pensione della nonna o l´aiuto dei genitori – quando questo è possibile – costituiscono una forma preziosa di welfare integrativo che supplisce a ben altre mancanze pubbliche e private.
Dopo il pesante intervento sulle pensioni, sulla questione della riforma del lavoro si gioca una partita decisiva per la durata di questo governo che non può tollerare maggioranze variabili o intermittenti. Servono dunque una maggiore sensibilità politica, culturale e civile giacché, quando si affronta un simile nodo, si toccano la speranza dell´uomo di realizzare e trasformare se stesso e la sua dignità più profonda come persona: e allora, sarebbero quanto meno auspicabili una maggiore attenzione comunicativa e meno battute che, in tempi difficili come questi e dopo i sacrifici chiesti ai lavoratori, non fanno ridere nessuno.

Da La Repubblica del 07/02/2012.

martedì 31 gennaio 2012

Il ventaglio di proposte del PD sulla riforma del mercato di lavoro:considerazioni













A proposito di riforme del mercato di lavoro e delle proposte del Pd o del centro-sinistra in genere.
La flexicurity proposta da Ichino prevede un contratto unico sempre a tempo indeterminato ma con la possibilità in ogni momento di licenziamento individuale per motivi economici,tecnici o organizzativi.Ora,al di la dell'indennizzo per i licenziati commisurato agli anni di lavoro,all'assegno di dis...occupazione,finanziato anche dalle aziende,pari al 90% il primo anno e all'80 e al 70% nei due anni successivi e della particolarità che le imprese si fanno carico anche della formazione e del collocamento dei licenziati,resta il fatto,e aggiungo io il neo, che viene meno la garanzia dell'articolo 18 per i nuovi assunti.Non condivido,pur non ritenendomi un integralista di questo importante strumento di garanzia per il lavoratore,la considerazione di Monti e le conseguenti interpretazioni sul non considerare un tabù l'approccio sull'articolo 18,e soprattutto non ammetto che il giuslavorista per eccellenza del Pd possa contemplare nella sua proposta il superamento di un qualcosa che certamente non può essere definito tabù.Il reintegro poi,previsto sempre nella bozza-Ichino,solo in caso di licenziamento di tipo discriminatorio lascerebbe,a mio dire,un elevato e arbitrario spazio di manovra al datore di lavoro.Non male invece i contratti a termine permessi solo oltre la soglia di reddito di 40 mila euro.
Anche la proposta Damiano,che prevede un contratto unico di inserimento formativo,una sorta di periodo di prova(massimo tre anni),più lungo quindi di quello attuale,in cui è possibile il licenziamento,lo trovo,per il lavoratore,specie per quello in prova,molto pericoloso,perchè solo dopo questo tempo si applicherebbero tutte le regole previste attualmente,compreso l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Trovo invece un tantino più moderna e di prospettiva la proposta Boeri-Garibaldi,con il contratto unico e a tempo indeterminato diviso in due distinte fasi,dove per i neo-assunti nei primi tre anni è possibile il licenziamento per giusta causa,anche economica,e non è previsto il reintegro,ma solo un indennizzo.Ci sono però tutele crescenti,tali da far ritenere, all'impresa,molto oneroso il licenziamento.Dopo i tre anni scatterebbe la fase di stabilità del contratto,e si applicherebbero le tutele previste dall'articolo 18.I contratti atipici diventerebbero contratto unico se il guadagno supera una certa quota,con l'esclusione di lavori stagionali e prestazioni professionali.
Insomma,mi pare che in questa partita così importante e determinante per il futuro del nostro Paese il Pd sia in campo con idee importanti e innovative, frutto delle tante competenze e intelligenze eccellenti di cui lo stesso dispone.

La fotografia dell'Italia in crisi.

Un'analisi lucida e drammatica della grave crisi di rappresentanza della politica italiana in un momento straordinariamente delicato per il nostro Paese.



Gli italiani di lotta e di governo
Ilvo Diamanti







VIVIAMO strani tempi. Come, d'altronde, il governo Monti (secondo la definizione dello stesso premier). Tempi instabili e sussultori. Una settimana dopo l'altra, un giorno dopo l'altro: protestano tutti. Tassisti e camionisti, avvocati e farmacisti, benzinai e giornalai, operai e notai. Protestano i Padani e i Forconi. Oltre ai No-Tav. Gli stessi "professori" - e gli studenti - non apprezzano il ridimensionamento dei titoli di studio - e delle lauree. Tutte, non solo quelle conseguite dagli "sfigati", per usare l'eufemismo del viceministro Martone 1.

Non sorprende, quindi, che la maggioranza degli italiani sia d'accordo con le manifestazioni e gli scioperi contro i provvedimenti del governo e le liberalizzazioni. Oltre il 56%, secondo il sondaggio condotto da Demos (per Unipolis) nei giorni scorsi.

LE TABELLE Il giudizio su governo e proteste 2

Tuttavia, solo una frazione della popolazione (circa il 5%) afferma di avervi partecipato, mentre si dice disposta a parteciparvi una componente, comunque, molto limitata (13%).

D'altra parte, in questo strano Paese, il governo ottiene un consenso largo quanto le proteste contro le sue politiche. Anzi, un po' più ampio, visto che quasi il 58% degli italiani (intervistati da Demos per Unipolis) giudica positivamente l'azione del governo Monti (con un voto da 6 a 10).

Non solo, ma le liberalizzazioni, nonostante le proteste, continuano ad essere apprezzate dalla maggioranza assoluta della popolazione (secondo l'IPSOS).

Le "ragioni" di atteggiamenti così contrastanti sono diverse ma, perlopiù, molto "ragionevoli".

1. La prima richiama la profonda diversità delle categorie coinvolte dai provvedimenti, che, non a caso, sono valutate in modo differente dai cittadini (come hanno segnalato i sondaggi IPSOS). L'indulgenza verso la protesta dei camionisti e dei tassisti, in particolare, risulta molto superiore rispetto a quella espressa verso i notai, gli avvocati e i farmacisti. Perché si tratta di figure sociali ritenute "popolari", che svolgono attività usuranti.

2. La seconda ragione è stata espressa, con chiarezza, dallo stesso Monti nei giorni scorsi, quando ha osservato che "per decenni si è coltivato e rispettato più l'interesse delle singole categorie che l'interesse generale". Anche se questo duplice sentimento attraversa tutti. Così, l'attenzione all'interesse generale ci fa apprezzare Monti e le politiche del governo, comprese le liberalizzazioni. Ma l'interesse di categoria ci spinge a reagire con insofferenza. Visto che tutti - o, almeno, molti - sono (siamo): tassisti, notai, avvocati, pensionati, avvocati, benzinai, commercianti, camionisti, professori, ecc. (Senza trascurare le differenze sociali, di reddito, posizione, fatica fra queste professioni.) Intendo dire che dentro di noi convivono e confliggono diversi interessi e diverse condizioni. Che dividono l'identità civica e quella di categoria.

3. Da ciò il dualismo di sentimenti che coabitano in noi. Da un lato, il consenso - di proporzioni larghe - verso Monti e verso il governo. Dall'altro, il peso, altrettanto esteso, del dissenso e delle proteste verso le politiche governative. Perché gran parte dei cittadini si rende conto che molte scelte di Monti sono obbligate e necessarie. Anche se criticabili e migliorabili. E gran parte dei cittadini, inoltre, teme la caduta del governo. Non solo per paura di "tornare indietro". Al passato politico che incombe, come una minaccia. Ma perché si rischierebbero la ripresa delle guerre politiche e del conflitto sociale. Tuttavia, ciò non impedisce agli specifici interessi e alle specifiche rivendicazioni - sociali, economiche e locali - di emergere ed esprimersi. In modo talora acceso.

4. C'è, infine, una ragione più generale. Meno evidente e meno evocata, nel dibattito pubblico. Ma forse la più pericolosa - a mio parere. Perché riguarda - e mette in discussione - la nostra stessa democrazia. Se oggi si assiste al proliferare di conflitti e di proteste puntiformi e senza soluzione è anche - soprattutto - perché tra la società, gli interessi e il governo - lo Stato - c'è il vuoto. Non c'è rappresentanza, ma neppure "composizione" e "aggregazione" delle domande e degli interessi. Un mestiere che spetta alle grandi organizzazioni economiche, ma, soprattutto e in primo luogo, ai partiti. I quali hanno "delegato" a Monti i compiti che essi non si sentono in grado di affrontare, anche - forse soprattutto - per timore delle conseguenze elettorali.

Un problema che lacera il centrodestra - particolarmente sensibile al richiamo degli interessi dei lavoratori autonomi e delle professioni. Ma che inquieta anche il centrosinistra, in difficoltà ad affrontare i temi della mobilità (del lavoro). Non è un caso che gli unici soggetti ad agire apertamente sulla scena politica, oggi, siano coloro che "moltiplicano" e amplificano le proteste di categoria, invece di ri-comporle. La Lega, in primo luogo. Ma anche l'IdV e Sel, per quanto in modo reticente.

Ne esce il quadro - in frantumi - di una "democrazia immediata" (per riprendere la definizione del marchese di Condorcet, nella Francia rivoluzionaria del Settecento). In duplice senso.

A) Perché ogni domanda e ogni spinta sociale si rovescia "immediatamente" sulla scena pubblica. Visto che non solo i media tradizionali (per prima la Tv), ma Internet, i cellulari e i palmari, FB e Twitter danno visibilità e rilevanza "immediata" a ogni rivendicazione e a ogni protesta. Mentre ogni rivendicazione e ogni protesta può, comunque, produrre conseguenze pesanti a livello pubblico e sociale, quando sia in grado di interrompere la comunicazione e la mobilità - strade, autostrade, città, aerei, ferrovie.

B) Ma questa democrazia appare, d'altronde, im-mediata, in quanto priva di "mediazioni" e di "mediazione". Per il deficit di rappresentanza politica espresso dai partiti. Per la tendenza e la tentazione di affidare l'unica forma di mediazione ai "media".

Questa democrazia im-mediata e iper-mediata (dai media), al tempo stesso, può, forse, piacere a coloro che celebrano l'antipolitica e auspicano la morte della politica, dei politici e dei partiti. Ma rischia di compromettere le sorti della democrazia rappresentativa.

venerdì 27 gennaio 2012

‎27 Gennaio, Giorno della Memoria













Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
... il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

mercoledì 25 gennaio 2012

La crisi italiana al tempo del governo tecnico













Che contrasto stridente ieri sera a Ballaro':in studio Corrado Passera,banchiere e super-ministro di questo governo dei cosiddetti tecnici(?),icona dei poteri forti e della grande e ostentata ricchezza italiana;in quasi tutti i servizi proposti,invece,la rappresentazione plastica di un Paese alla fame che certamente questo esecutivo non fara' riemergere.Meditiamo davvero e smettiamola di autogratificarci(lo dico soprattutto agli amici con i quali condivido l'esperienza di militanza all'interno del PD)supportando,tra l'altro,anche questa cosa allucinante di un documento comune con Pdl e Terzo Polo a sostegno del governo e dell'Europa!

Eccellente rappresentazione dei paradossi italiani



I padroncini della mobilità



ILVO DIAMANTI



E' inquietante, ma anche significativa, la condizione di questo Paese, in questo momento. Paralizzato, letteralmente. Città e autostrade, inagibili. Bloccate dalla protesta dei tassisti e dei camionisti. È significativa del paradosso in cui viviamo. Noi, cittadini globali di un mondo globalizzato, dove le distanze spazio temporali sono vanificate, perché avvengono per via "immateriale". Attraverso la Rete, la comunicazione internautica, satellitare, digitale.

Mentre il movimento delle persone - da casa al lavoro, scuola, alla palestra, al cinema (e viceversa) - avviene su strade, autostrade, rotaie: vie assolutamente "materiali". Che è facile bloccare, interrompere, ostruire. Con conseguenze devastanti in un Paese, l'Italia, divenuto ormai una grande unica conurbazione. Una grande azienda diffusa, sparsa in larghe aree del Centro e del Nord. Ma anche nel Sud. Un Paese difficile da attraversare, perché occupato, per larghi tratti, da catene montuose. E perché le politiche, almeno fino agli anni Settanta, hanno badato agli interessi dell'industria dell'auto e del trasporto privato assai più che a quelli pubblici. Per questo oggi è divenuta strategica la questione della "mobilità" (come ha osservato, già alcuni giorni fa, Gigi Riva sul "Piccolo"). O, forse dell'im-mobilità. Per questo è difficile capire e adattarsi, molto più di ieri. Perché, nel frattempo, ci siamo abituati a vivere e convivere
con le tecnologie della comunicazione.

Per primi i giovani e le persone più istruite. Ma, progressivamente e rapidamente, anche gli altri. Perché tutti ormai hanno e usano un cellulare, mentre gran parte della popolazione ha un computer e comunica in rete. E molti, moltissimi, vivono in simbiosi con l'iPhone e l'iPad. Stanno in contatto fra loro attraverso i Social Network, esternano il loro pensiero mediante Twitter. Le aziende operano in rete. Così gli enti pubblici, le scuole. Produttori e clienti, professori, studenti e famiglie. In rete. Tutti in movimento, pur restando fermi. E tutti in relazione, pur restando soli. Per questo la protesta dei tassisti e degli autotrasportatori ci ha colti impreparati. Perché, appunto, non ce l'aspettavamo. Di essere vincolati in modo così stretto dalla nostra dimensione fisica. Materiale. Dalle autostrade piuttosto che dalle infostrade. Dalle vie urbane piuttosto che da quelle digitali. Dai tassisti invece che dagli hacker. Non ce l'aspettavamo di venir bloccati a casa o per strada e di scoprirci fermi. Noi che ci immaginiamo sempre in viaggio e sempre insieme agli altri.

È, dunque, un problema di dissonanza cognitiva a rendere difficile comprendere e accettare quel che avviene in questi giorni. Prima ancora di affrontarlo. Al contrario di coloro che ci "bloccano". Tassisti, camionisti, autotrasportatori. Ben consapevoli della nostra "dipendenza" dalle loro azioni e coazioni. Perché controllano il movimento "fisico" personale. E l'economia nazionale. Per loro, il numero non è un vincolo. Non sono "masse" ma le loro lotte hanno effetti di massa. Ventimila tassisti possono bloccare le città. Gli autotrasportatori sono molti di più, visto che in Italia operano circa 90.000 imprese (dati Eurostat), ciascuna con circa 5 veicoli. Facile per loro bloccare l'intero Paese. Non solo gli spostamenti delle persone. Ma - anche e anzitutto - quelli delle merci, che essi stessi (auto) trasportano. Peraltro, si tratta di un modello di lotta sperimentato, adottato, in passato, da altre categorie, anch'esse addette - non a caso - alla "mobilità". Il personale delle ferrovie e dei trasporti urbani. I controllori di volo. In grado di bloccare - in poche decine - l'intero traffico aereo non solo di un Paese. E, ancora, i benzinai. "Padroni" del carburante da cui dipende la nostra mobilità personale.

Si tratta, in gran parte dei casi, di figure professionali che non temono di intraprendere forme di lotta aspre e impopolari. Abituati, come sono, a un lavoro duro e usurante. Loro sì, sempre in viaggio, sulla strada. "Da soli". Sempre in viaggio, sempre in movimento, sempre in rete. Da sempre (i camionisti, prima e più degli altri, hanno costruito una costellazione di CB). Sempre in contatto tra loro. Per esigenze di lavoro, ma anche per combattere la solitudine. Difficile coltivare legami di solidarietà con gli altri in questa condizione nomade. Anche se è loro chiaro quanto gli altri, la comunità, i cittadini dipendano da loro. Dal loro lavoro, dai loro servizi. Essi, d'altronde, hanno sperimentato la loro capacità di pressione da molto tempo e in molti contesti. Per non allontanarci troppo: in Francia, in Spagna e in Grecia. In Italia, però, c'è la complicazione di una rappresentanza frammentata in nove associazioni, quando negli altri Paesi ce ne sono al massimo due. In queste condizioni, il senso di responsabilità sociale e civile, la gravità del momento economico e politico non costituiscono argomenti particolarmente sentiti. Al contrario, il disagio sociale diventa un elemento di pressione politica particolarmente incisivo. In grado di influenzare pesantemente il clima d'opinione e il consenso. E nell'era dell'opinione pubblica, le lotte più efficaci sono quelle che colpiscono non tanto gli imprenditori e i produttori, ma i cittadini e i consumatori. I quali diventano vittime e ostaggi di ogni protesta.

Le liberalizzazioni, peraltro, sono difficili da realizzare e da attuare, da noi più che altrove. Perché cozzano contro una società stratificata e frammentata in un collage di appartenenze professionali e di mestiere, albi, ordini, gruppi, associazioni di categoria. Le liberalizzazioni, cioè, pretendono di slegare i legami di una società legata insieme da mille interessi: i familismi, i localismi, i particolarismi, le eredità. Dove molte persone - oltre e prima che "cittadini" - si sentono tassisti, farmacisti, camionisti, giornalisti, avvocati, notai, benzinai, politici, artigiani, banchieri, dirigenti, commercianti, commercialisti, consulenti, cambisti... Titolari di interessi di entità molto diversa. Più o meno piccoli, più o meno grandi. A cui, però, non intendono rinunciare.

È difficile immaginare che un cambiamento tanto profondo possa avvenire senza "spargimento di sangue". (Parlo, ovviamente, in modo figurato e metaforico.) E a chi ritenga necessario "slegare" l'Italia - per rendere la società più equa e l'economia più aperta - la protesta dei Tir e dei tassisti è lì a rammentare che la lotta sarà lunga e dura. Prepariamoci. Ce n'est qu'un début...