lunedì 27 giugno 2011

Primarie e trasparenza:una legge per la democrazia

Dal blog di Gianni Sanna











Sabato 9 Luglio alle ore 18.30. Sala Convegni di Via Mariano IV. Primarie e trasparenza, una legge per la democrazia. L’ appuntamento promosso dalla Federazione di Oristano del Pd vuole offrire un’occasione per riflettere su una proposta che ambisce a rispondere alla voglia di partecipare e di contare espressa con forza dai cittadini anche nelle tornate elettorali di maggio e giugno.

Si parlerà dunque di primarie, ma si parlerà anche della necessità che i partiti si strutturino al proprio interno rispettando alcuni criteri che favoriscano la partecipazione dei cittadini e la trasparenza delle decisioni e che è bene almeno parzialmente puntualizzare in una legge. Come in effetti si è sempre auspicato da più parti, sulla base di quanto stabilito dall’art.49 Costituzione, senza tuttavia mai dare seguito all’intenzione.

E difatti i due temi costituiscono l’oggetto una proposta di legge presentata alla Camera dai deputati del Partito Democratico. Salvatore Vassallo ne è l’estensore e Caterina Pes una dei firmatari.

Ci illustreranno i dati salienti dell’iniziativa legislativa. Ed insieme a loro ed a Gian Mario Demuro e Renato Soru rifletteremo sulle Primarie per la selezione delle candidature alle cariche istituzionali monocratiche ed all’urgenza di una nuova legge elettorale che chiuda definitivamente la stagione terribile del Porcellum, che ha segnato così negativamente il rapporto eletto/elettore, privando i cittadini del potere più importante che pone nelle loro mani la democrazia rappresentativa: la scelta dei loro rappresentanti.

Il cartellone riporta il motto “ … nella mani dei cittadini le scelte che contano….”.

Per noi Democratici è più di un motto: è la nostra ragione sociale.

lunedì 20 giugno 2011

Premio Strega 2011:i cinque finalisti


Ufficializzati i nomi dei 5 candidati alla vittoria finale del Premio Strega 2011, opere che mi appresterò a recensire nei prossimi giorni.
Fra gli esclusi, "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda (Dalai)e "A cosa servono gli amori infelici" di Gilberto Severini (Playground),personalmente ritengo proprio quest’ultimo un libro “assolutamente imperdibile“.

Il Comitato direttivo del Premio è composto da due esponenti della Fondazione Bellonci (Tullio De Mauro e Valeria Della Valle), tre autori premiati nelle precedenti edizioni (Melania Mazzucco, Alessandro Barbero e Ugo Riccarelli), due rappresentanti di Strega Alberti S.p.A., l’assessore alle Politiche culturali di Roma Capitale, Dino Gasperini, e due rappresentati dei quattrocento Amici della domenica. A luglio conosceremo il nome del vincitore del Premio Strega 2011.


Questi i 5 titoli finalisti:

- La scoperta del mondo (nottetempo) di Luciana Castellina, presentato da Antonio Debenedetti e Rosetta Loy;

- Ternitti (Mondadori) di Mario Desiati, presentato da Alberto Asor Rosa e Paolo Di Stefano;

- La vita accanto (Einaudi) di Mariapia Veladiano, presentato da Elisabetta Rasy e Cesare Segre;

- Storia della mia gente (Bompiani) di Edoardo Nesi, presentato da Antonio Pennacchi e Sandro Veronesi;

- L’energia del vuoto (Guanda) di Bruno Arpaia, presentato da Cristina Comencini e Giorgio Ficara;



I titoli esclusi:

- La citta’ di Adamo (Fazi) di Giorgio Nisini, presentato da Giuseppe Leonelli e Massimo Onofri;

- A cosa servono gli amori infelici (Playground) di Gilberto Severini, presentato da Silvia Ballestra e Massimo Raffaeli;

- Settanta acrilico trenta lana (e/o) di Viola Di Grado, presentato da Serena Dandini e Filippo La Porta;

- Nina dei lupi (Marsilio) di Alessandro Bertante, presentato da Sergio De Santis e Antonio Scurati;

- Malabar (Guida) di Gino Battaglia, presentato da Arrigo Levi e Marcello Rotili;

- Il confessore di Cavour (Manni) di Lorenzo Greco, presentato da Giovanni Russo e Antonio Tabucchi;

- Nel mare ci sono i coccodrilli (B.C.Dalai editore) di Fabio Geda, presentato da Valeria Parrella e Marino Sinibaldi;

giovedì 16 giugno 2011

22 Giugno 2011:Paolo Fresu a Nureci



Lo scorso febbraio ha compiuto cinquant'anni, ma ha voluto rimandare i festeggiamenti al primo scorcio dell'estate. E Paolo Fresu, uno dei jazzisti italiani più apprezzati e conosciuti anche all'estero, ha scelto un modo davvero straordinario per celebrare il suo primo mezzo secolo di vita: cinquanta concerti da tenere in cinquanta giorni consecutivi, con cinquanta progetti differenti, in scena in cinquanta diverse località della Sardegna.



"50!", questo il titolo del tour, partirà il 12 giugno da Berchidda, il paese ai piedi del Limbara, fra Gallura e Logudoro, dove il trombettista è nato il 10 febbraio del 1961, e si concluderà un mese e mezzo più tardi, il 31 luglio, a Cagliari. Fra i due estremi, un percorso che attraverserà in lungo e in largo la Sardegna, approdando in alcune fra le sue località più significative e affascinanti, come il villaggio nuragico di Barumini, l'area archeologica di Santa Cristina a Paulilatino, il tempio punico-romano di Antas aFluminimaggiore, il borgo medievale di Castelsardo, il suggestivo paesino di Carloforte sull’isola di San Pietro, le vestigia punico-romane di Nora, ma anche in angoli meno risaputi dell'isola: luoghi speciali dal punto di vista naturalistico, storico o culturale - vecchie miniere, siti d'arte, torri costiere, tombe di giganti, chiesette campestri – a comporre le tappe di un affascinante viaggio in musica che si snoderà attraverso Nuoro, Baratili San Pietro, San Teodoro, Sedilo, Belvì, Lei, Bolotana, NURECI, Sarroch, Allai, Sorso, Nurachi, Perfugas, Gavoi, Cuglieri, Bosa, San Sperate, Oliena, Orani, Carbonia, Ulassai, Settimo San Pietro, Oristano, Posada, Uta, Mandas, Arbus, Stintino, Terralba, Neoneli, Mogorella, Trinità d'Agultu, Sassari, Muravera, Tresnuraghes, Meana Sardo, Guspini, Ollolai, Santa Teresa Gallura, Sant'Antioco, Mogoro, Siddi.



Un concerto per ogni candelina, dunque. Paolo Fresu presenterà un organico diverso in ciascuna delle cinquanta serate del tour. Ad affiancarlo, di volta in volta, ci saranno molti degli artisti, jazzisti ma non solo, con i quali ha condiviso i suoi primi trenta (quasi, ormai), intensissimi anni di attività: gruppi come il quintetto "storico", il trio P.A.F., il Quartetto Palatino, l'Angel e il Devil Quartet, ma anche progetti particolari come il film-concerto “Sonos 'e memoria”, la “Porgy and Bess” rieseguita con l'Orchestra Jazz della Sardegna, il riuscito incontro con Antonello Salis e la Kocani Orkestar, il recentissimo Brotherhood, il tripudio di ottoni dell'Italian Trumpet Summit, Brass Bang! e Tea44, il “Mare Nostrum” con Richard Galliano e Jan Lundgren, ma anche “Condaghes” con i bretoni Erik Marchand e Jacques Pellen. E poi nomi di spicco della scena jazzistica nazionale come Enrico Rava, Stefano Bollani, Gianluca Petrella, Furio Di Castri, Danilo Rea, e di quella internazionale, come Uri Caine, Ralph Towner, Dhafer Youssef, Nguyen Le, Omar Sosa, Steven Bernstein, Dave Douglas, David Linx, Diederik Wissels, Eivind Aarset, Arild Andersen, Bojan Z; e, ancora, cantanti del calibro di Ornella Vanoni, Sheila Jordan e Paola Turci, ma anche gli attori Paolo Rossi, Ascanio Celestini, Lella Costa, il danzatore Giorgio Rossi, gli scrittori Stefano Benni e Flavio Soriga, il pianista e compositore Ludovico Einaudi, il cantautore Gianmaria Testa, il “gastrofilosofo musicale” Donpasta, il quartetto d'archiAlborada, il maestro Giulio Libano, le voci corse del coro A Filetta e quelle sarde del Cuncordu e Tenore de Orosei, del Coro di Castelsardo e de su Cuncordu e su Rosariu di Santu Lussurgiu, le scorribande fra musica e teatro con “Le irregolari” e con i Cada Die di “Laribiancos”. Naturalmente non mancherà la banda musicale “Bernardo De Muro” di Berchidda, con cui Paolo Fresu ha mosso i primi passi della sua sfolgorante carriera. E ci sarà spazio anche per due progetti assolutamente inediti: il primo è con il bandoneonista Daniele di Bonaventura e l'Orchestra da Camera della Sardegna diretta da Simone Pittau; l'altro è invece un trio tutto sardo con il sassofonista Gavino Murgia e il chitarrista Bebo Ferra.



Un cast ampio e variegato, dunque, specchio della vastità e della molteplicità degli impegni artistici di Paolo Fresu, musicista instancabile ed eclettico, capace di calarsi nei più disparati contesti, mantenendo però sempre la propria coerenza espressiva e una precisa cifra stilistica.



Un evento, “!50”, che, c’è da giurarlo resterà nella memoria. E per documentare tutto quanto accadrà dentro, intorno e fuori dal palco, c’è un sito ad hoc: il portale ufficiale di “!50”, all'indirizzo www.50fresu.it, ricco di testi, immagini, video, racconterà tutto il tour minuto per minuto raccogliendo, in una sorta di taccuino di viaggio quotidianamente aggiornato, le impressioni e le riflessioni dei suoi protagonisti. Una sezione sarà riservata agli appassionati, spettatori e fans vicini e lontani, che potranno lasciare un segno, una firma, un pensiero, e sentirsi così totalmente parte di un progetto interamente ideato per loro.




Sul campo sarà presente anche la regista e fotografa francese Marthe Le More che con le immagini raccolte, realizzerà e produrrà un film su “!50”, mentre il fotografo Gianfranco Mura immortalerà i momenti più significativi di ogni concerto, per una raccolta che, è facile predire, diventerà un suggestivo album di scatti.



Attenzione puntata su “!50” da parte di “Caterpillar”, la popolare trasmissione di Radio 2, che aprirà numerose finestre sul tour e su quanto accade intorno ad esso. Il sito del Tg3 (anche attraverso il proprio canale Youtube e la pagina Facebook) seguirà giorno per giorno il tour con interviste e servizi giornalistici. Anche il sito del Giornale della Musica dedicherà spazio al fluire dell'evento. Sul sito sardegnagps.com, infine, si potranno trovare informazioni utili e approfondimenti sulle varie tappe e gli itinerari del tour.



Prodotto da Pannonica, management ufficiale di Paolo Fresu, e dal promoter Applausi, “!50” si presenta come un complesso impegno logistico e organizzativo che, nel rispetto della natura e in sintonia con i luoghi in cui andrà in scena, utilizzeràtecnologie a basso consumo e ridotto impatto ambientale: luci, amplificazione e strumenti alimentati con energia solare ed eolica. Grazie a una partnership con la Fondazione SLO (Sustainable Life Opportunity), “!50” si servirà infatti del “Carro delle Energie”, uno speciale gruppo “Ecoelettrogeno” ideato per l'occasione da tre teatranti (un disegnatore luci, un fonico, uno scenografo) che catturerà energia dal sole e dal vento. Tappa dopo tappa, concerto dopo concerto, la intrappolerà dentro batterie per poterla restituire alla sera sotto forma di luce, suono, immagini, tra le architetture naturali delle suggestive location del tour. Contribuirà a non sprecare neanche un watt il progetto audio luci di Gianni Melis, Cristian Buccioli e Fabrizio Dall'Oca con la collaborazione, in alcune tappe, di Marco Quondamatteo e Andrea Bianchi con un progetto sperimentale video-scenografico di mapping natura, sempre all'insegna del risparmio energetico.


Ma anche un’altra forma di energia attraversa questo straordinario evento itinerante: quella delle persone, delle tante figure professionali che a vario titolo vi partecipano, e quella di tutti coloro che hanno comunque aderito, sostenuto, e contribuito alla realizzazione dell'iniziativa. Come, ad esempio, il liutaio Piero Virdis, un maestro artigiano con studio a Pattada, che per l’occasione ha realizzato appositamente da un unico ceppo di legno, i due violini, la viola e il violoncello che saranno utilizzati, in prima assoluta, dai musicisti dell’Alborada String Quartet nel concerto "Scores" per la quinta tappa del tour, il 16 giugno a Nora.



Non c’è tour musicale senza merchandising. E anche in questo caso “!50” opera una scelta di campo: tutto il materiale che sarà in vendita durante l’evento sarà equosolidale e in linea con la filosofia generale del progetto grazie alla partnership con lacooperativa C.h.v. Onlus, fulgido esempio di attività economica pensata e realizzata con il coinvolgimento dei disabili.


Il “sociale” si lega a “!50” anche per un altro versante. In questi giorni, infatti, la sezione Italiana di Amnesty International - che a sua volta compie 50 anni in questo 2011 - ha assegnato a Paolo Fresu il premio “Arte e diritti umani” per lo “straordinario contributo alla diffusione e alla conoscenza della Dichiarazione universale dei diritti umani”. E, a conferma del legame tra il trombettista sardo e le battaglie di Amnesty, la carovana di “50!” avrà come compagni di viaggio in alcune tappe i volontari della più famosa organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, che allestiranno i loro banchetti attraverso cui divulgare materiale informativo e raccogliere firme e fondi.


Tutti i concerti (ad eccezione dell'ultimo a Cagliari) saranno per scelta gratuiti e aperti a tutti: un impegno reso possibile grazie all'indispensabile contributo della Banca di Sassari, dei Comuni di Berchidda, Baratili San Pietro, San Teodoro, Pula, Sedilo, Belvì, Oristano, Lei, Bolotana, Castelsardo, Nureci, Sarroch, Paulilatino, Allai, Sorso, Nurachi, Carloforte, Perfugas, Cuglieri, Bosa, San Sperate, Oliena, Carbonia, Settimo San Pietro, Posada, Arbus, Stintino, Terralba, Mandas, Uta, Fluminimaggiore, Neoneli, Mogorella, Trinità d’Agultu, Sassari, Muravera, Tresnuraghes, Meana Sardo, Guspini, Ollolai, Santa Teresa Gallura, Sant’Antioco, Mogoro, Siddi, Cagliari, dell'Istituto Superiore Etnografico della Sardegna, dell'Associazione Enti locali per lo spettacolo – Circuito pubblico della Provincia di Cagliari, del Centro Commerciale Naturale, dell'Associazione Turistica Pro Loco di Castelsardo, dell'Associazione Paesaggi Connessi, dell'Associazione Turistica Pro Loco di Perfugas, dell'Associazione culturale L’Isola delle storie, dell'Associazione Luisa Monti Onlus, de La Galaveras, della Fondazione Costantino Nivola, della Fondazione Barumini Sistema Cultura, dell'Associazione culturale Su niu de su pilloni, del Circolo culturale d’arte Prometeo, del Comitato del territorio di Marceddì, dell'Associazione culturale Camera a sud, dell'Associazione Turistica Pro Loco di Meana Sardo dell'Associazione Culturale Sardinia pro arte, e con la collaborazione di Imput Studio, StandUp e PinCar.

martedì 14 giugno 2011

Il flauto magico spezzato












di EZIO MAURO


IL FLAUTO magico si è spezzato, gli italiani dopo vent'anni rifiutano di seguire la musica di Berlusconi. Quattro leggi volute dal premier - una addirittura costruita con le sue mani per procurarsi uno scudo che lo riparasse dai processi in corso - sono state bocciate da una valanga di "sì" nei referendum abrogativi che hanno portato quasi 27 milioni di italiani alle urne. E la partecipazione è il vero risultato politico di questo voto. Berlusconi, come Craxi, aveva invitato gli italiani a non votare, andando al mare, e gli italiani gli hanno risposto con una giornata di disobbedienza nazionale scegliendo in massa le urne, dopo quindici anni in cui i referendum non avevano mai raggiunto il quorum. Una ribellione diffusa e consapevole, che dopo la sconfitta della destra nelle grandi città accelera la fine del berlusconismo, ormai arenato e svuotato di ogni energia politica, e soprattutto cambia la forma della politica nel nostro Paese.

L'uomo che evocava il popolo contro le istituzioni, contro gli organismi di garanzia, contro la magistratura, è stato bocciato dal popolo nella forma più evidente e clamorosa, dopo aver provato a mandare a vuoto proprio la pronuncia popolare degli elettori, di cui aveva paura, cercando di far saltare il quorum fissato dalla legge.

Così facendo il premier non si è reso conto di denunciare tutta la sua angoscia per le libere scelte dei cittadini e la sua incapacità ogni giorno più evidente di indirizzare queste scelte politicamente, orientandole verso il "sì" o il "no". Legittimo formalmente, l'invito a non votare è in questa fase del berlusconismo una conferma di debolezza, quasi una dichiarazione di resa, soprattutto una prova politica d'impotenza, senza futuro.

Temeva le emozioni, il presidente del Consiglio, dopo il disastro di Fukushima: come se le emozioni non facessero parte semplicemente della vita, e come se lui stesso non fosse anche in politica un imprenditore di emozioni oltre che di risentimenti. Ma i risultati dimostrano che gli italiani non hanno votato per paura, bensì per una libera scelta, con serenità e coscienza, perfettamente consapevoli del merito dei singoli quesiti referendari - con l'abrogazione del legittimo impedimento che ha avuto praticamente gli stessi voti dei no al nucleare o alla privatizzazione dell'acqua - ma anche della portata politica generale di questo appuntamento elettorale.

Dunque la sconfitta è doppia, per il capo del governo. Nel merito di leggi che ha voluto e ha varato, e che (il nucleare) ha anche cercato di manipolare per ingannare gli elettori, scavallare il referendum e tornare a proporre le centrali subito dopo. Nel significato politico, perché il voto è anche contro il governo, contro Berlusconi e contro il proseguimento di un'avventura ormai completamente esaurita e rifiutata dagli italiani. E qui c'è la sconfitta più grande: il plebiscito dei cittadini che vanno a votare (anche quelli che scelgono il no) con percentuali sconosciute da decenni, nonostante il governo abbia deportato il referendum nel weekend più estivo possibile, lontanissimo dalle normali stagioni elettorali. È Berlusconi che non sa più parlare agli italiani, così come non li sa ascoltare, perché non li capisce più. E gli italiani gli hanno voltato le spalle.
Qui conviene fermarsi a riflettere, perché dove finisce Berlusconi comincia una nuova politica. Anzi, Berlusconi finisce proprio perché è nata una domanda di nuova politica, che sta cercandosi le risposte da sola, e in parte le ha già trovate.

Se mettiamo in sequenza i tre voti ravvicinati del primo turno amministrativo, del ballottaggio e del referendum, troviamo una chiarissima affermazione di autonomia dei cittadini. Questo è il dato più importante. Il voto al referendum e il voto nelle città sono infatti prima di tutto disobbedienza al pensiero dominante. Di più: sono il rifiuto di una concezione verticale della politica, con il leader indiscusso ed eterno che parla al Paese indicando l'avvenire mentre il partito e il popolo possono solo seguire il carisma, che soffia dove il Capo vuole.

Vince una politica reticolare, a movimento, incentrata sui cittadini più che sulla adulazione del popolo. Cittadini consapevoli che aggirano l'invasione mediatica del Cavaliere sulle televisioni di Stato, mandano a vuoto l'informazione addomesticata dei telegiornali, si organizzano sulla rete, prendono dai giornali i contenuti che servono di volta in volta, fanno viaggiare in rete Benigni, Altan e l'Economist a una velocità e un'intensità che le veline del potere non riescono a raggiungere. Cittadini giovani, che fanno naturalmente rete e movimento, e in un sovvertimento generazionale e di abitudini diventano opinion leader nelle loro famiglie, portando genitori e amici a votare, chiarendo i quesiti, parlando dell'acqua e del nucleare, spiegando come il "legittimo" impedimento aggiri l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Dentro questo movimento orizzontale la leadership a bassa intensità (ma a forte convinzione) del Pd galleggia sorprendentemente meglio del Pdl, una specie di fortezza Bastiani che vede nemici dovunque, dipinge il Paese con colori cupi, nell'egotismo autosufficiente e chiuso in sé del suo leader è incapace di strategie, alleanze o anche soltanto di un normale scambio di relazioni politiche: che Bersani intesse invece ogni giorno alla luce del sole, con Vendola e di Pietro ma anche con Casini e Fini.

Questo spiega in buona parte perché i cittadini decidono oggi di indirizzare a sinistra la nuova domanda di autonomia politica: perché qui i partiti stanno imparando a stare dentro il movimento, giocando di volta in volta la parte della guida o della struttura di sostegno, al servizio di un obiettivo più grande. Ma c'è qualcosa di più. È la fine di un'egemonia culturale, perché come dice Giuseppe De Rita a Ida Dominijanni del Manifesto un ciclo finisce quando esplode la stanchezza per i suoi valori portanti: oggi si comincia a percepire "che la solitudine e l'individualismo non sono un'avventura di potenza ma di depressione e la sregolatezza personale è un prodotto dell'egocentrismo, in una fase in cui i riconoscimenti sociali scarseggiano, perché non fai più carriera, non riesci a fare impresa, non ti puoi gratificare con una vacanza". È il ciclo della "soggettività" che si spezza, anche per l'inconcludenza della politica che lo sostiene e ne ha beneficiato per anni. Torna, come ci avverte Ilvo Diamanti, il bisogno di aggregazione, di solidarietà, di regole, di normalità.

È un cambio di linguaggio, dopo vent'anni. Le manifestazioni delle donne, i post-it contro la legge bavaglio, il boom per Fazio e Saviano, l'allegria della piazza di Pisapia e Vecchioni a Milano contrapposta alla paura e alla cupezza stanno cambiando la cultura quotidiana dell'Italia, il modo di comunicare, l'immaginario che nasce finalmente fuori dalla televisione, la domanda stessa della politica. Davanti a questo cambio, le miserie dei burocrati spaventati che reggono la Rai per conto di Berlusconi sembrano ormai tardive e inutili: chiudono la stalla di viale Mazzini con l'unica preoccupazione di lasciar fuori Saviano e Santoro, per autolesionismo bulgaro, e non si accorgono che gli spettatori sono intanto scappati altrove.

Faceva impressione, ieri pomeriggio, vedere tanti politici e giornalisti pronti a celebrare il funerale politico di Berlusconi dopo che per anni si erano rifiutati di diagnosticare la malattia di questa destra, la sua anomalia. Stesso strabismo dei "nextisti" che invitano a preparare il domani pur di saltare il giudizio sull'oggi, il giudizio ineludibile - proprio per evitare opacità e confusione - sulla natura del berlusconismo. Questo spiega lo stupore italiano davanti ai giornali europei di establishment, che rivelano quella natura e denunciano quelle anomalie - come Repubblica fa da anni - giudicandole semplicemente estranee ad un normale canone europeo e occidentale. Ci voleva molto? Bisognava aspettare l'Economist? L'Italia della cultura, dei giornali, dell'establishment si è rifiutata di vedere e di capire, finché gli italiani non hanno visto e capito anche per lei. A quel punto, come sempre, si è adeguata in gran fretta.

Adesso, Berlusconi proseguirà con gli esorcismi e le sedute spiritiche cui lo consigliano i suoi fedeli, incapaci di imboccare la strada di un tea party italiano che ricrei un movimento anche a destra, riprenda la leggenda della "rivoluzione" conservatrice delle origini e spari su un quartier generale arroccato e spaventato, preoccupato solo di difendere rendite di posizione in conflitto tra loro. Sullo sfondo, Bossi continua a ballare da solo sulla musica di Berlusconi che il Paese non ascolta più, e intanto perde contatto con la sua gente, scopre che il Nord è autonomo anche dalla Lega, decide per sé e va a votare con percentuali dal 91 al 96 per cento, disubbidendo dalla Liguria al Trentino. Ancora una volta, come nel '94, la sovrapposizione con Berlusconi soffoca la Lega: che alla fine staccherà la spina, portando anche il Parlamento - in ritardo - a sanzionare quel cambio di stagione che ieri hanno deciso i cittadini.

Dall'I Care all'I Share


Dal blog di Giuseppe Civati



La battuta è di Giacomo Di Girolamo da Marsala, che è uno che sulla rete ci sta davvero. E lo dice in tono ironico, ma anche no.

Dopo la rivalutazione dei movimenti, delle piazze e della mobilitazione spontanea, dal basso, ci mancava solo la valorizzazione del web, che ieri è puntualmente arrivata, nella conferenza stampa del segretario del Pd.

Sono lontani i tempi del No-B Day, della diffidenza per le manifestazioni convocate su Facebook, dell'ambaradàn da contrapporre alla bocciofila, delle incertezze 2.0.

A Bari, recentemente, ho assistito a un comizio di un giovane dirigente del Pd, particolarmente infervorato, che dal microfono spiegava (con tono comiziante) che è il momento di abbandonare Facebook per tornare al famoso 'territorio'.

Affermazioni e cose dell'altro mondo, come cerco di spiegare, sommessamente, da anni: considerazioni che mi sorprendono ancora di più se provengono dal mondo dei giovani in politica.

E, invece, nel giro di qualche settimana, è cambiato tutto:

«C'è un protagonismo della rete in questo risultato di cui dobbiamo tenere conto - ha spiegato Bersani - noi abbiamo sempre creduto nel tam tam sulla rete e il risultato di oggi dimostra che certamente anche quello ha influito».

Ora, «noi che abbiamo sempre creduto nel tam tam», dobbiamo però saper costruire qualcosa di più, in termini di organizzazione sulla rete. Perché rete e gazebo si tengono. Perché l'organizzazione può essere social. Perché la politica stessa può essere più orizzontale, condivisa, meno gerarchica e più relazionale. Insomma, più democratica.

Forse questa primavera ha cambiato le cose, se anche la politica si percepisce, da qualche giorno, in modo diverso.

Avanti così, e senza troppo juicio, perché abbiamo da recuperare qualche anno.

In Consiglio Comunale molti sbadigli


Quest'oggi,dopo la seduta di insediamento di qualche giorno fa,si è tenuta la prima vera riunione di consiglio comunale.
Pensavo,visti gli argomenti all'ordine del giorno,tra i quali campeggiava anche il rendiconto di gestione,che il ritmo,inteso come confronto serrato tra maggioranza e minoranza su un analisi attenta,competente e dettagliata sul merito delle questioni,potesse risultare all'altezza.
Così non è stato,assolutamente.
Ci si è persi in digressioni che nulla avevano a che fare con le questioni oggetto di trattazione.
Una noia mortale andata avanti per due ore e un'interruzione chiesta per riprendere in mano il bandolo.
Niente da fare.
Alla prossima.

domenica 12 giugno 2011

NURECI: Festa della Madonna D'Itria


Dal Sito Istituzionale del Comune di Nureci







Sono al via i preparativi per la celebrazione della festa presso la Chiesa campestre della Madonna d’Itria.

Il 13-14 e 15 giugno verrranno dedicati infatti sia alla festa religiosa che ai festeggiamenti civili. La Madonna verrà condotta, come ogni anno, in processione al santuario accompagnata da gruppi folkloristici festanti.

I festeggiamenti si concluderanno con il riaccompagnamento del simulacro in processione nella chiesa parrocchiale di Nureci.


Ecco il programma dei festeggiamenti:

RELIGIOSO

lunedì 13 giugno
ore 17.00 Santa Messa nella Chiesa parrocchiale di Santa Barbara
ore 18.00 Processione con il simulacro della Madonna d'Itria trasportata con il carro a buoi dalla parrocchia alla chiesa campestre omonima. Partecipano i gruppi folk di Nurallao, Meana Sardo, Paulilatino e numerosi cavalieri

martedì 14 giugno
ore 8.00 Santa messa celebrata nella chiesa campestre della Madonna d'Itria
ore 9.00 Santa messa celebrata nella chiesa parrocchiale di Santa Barbara
ore 11.00 Santa messa celebrata nella chiesa campestre

mercoledì 15
ore 19.00 processione dalla chiesa campestre con il simulacro della Madonna trasportata con il carro a buoi. Partecipano gruppi folk e cavalieri

CIVILE

lunedì 13 giugno
ore 22.30 esibizione dei gruppi folk di Paulilatino, Meana Sardo e Nurallao

martedì 14 giugno
ore 18.00 spettacoli per bambini
ore 22.30 esibizione gruppo musicale "A Ballare" con Roberto Fadda e Emanuele Bazzoni

Quattro motivi(più uno)per votare


di EUGENIO SCALFARI



L'anteprima (rispetto al voto referendario di oggi e di domani) si è svolta ad "Annozero" di giovedì scorso. È stata l'ultima apparizione di questo "talk show" televisivo dove, per l'occasione, Michele Santoro aveva convocato i ministri Brunetta e Castelli da un lato e Bersani e Di Pietro dall'altro. Sullo schermo apparivano poi i cancellieri del Tribunale di Milano e i figli dei magistrati uccisi dalle Brigate rosse trent'anni fa, i cui ritratti campeggiano sulla facciata del palazzo di giustizia milanese. C'era anche il figlio dell'avvocato Ambrosoli, ucciso dalla mafia su commissione di Michele Sindona. Travaglio aveva letto il suo intervento sul legittimo impedimento con il racconto di quanto avviene nelle democrazie "serie" nei rapporti tra magistratura e politica e quanto avviene in Italia. Il confronto è devastante. C'era stata anche l'apparizione di Beppe Grillo che - dopo il suo consueto attacco contro la casta politica - incitava i suoi grillini a partecipare al voto referendario.
Dopo l'esordio di Santoro sui suoi rapporti con la Rai, lo spettacolo - perché di grande spettacolo si è trattato - è cominciato con le riprese sulla riunione dei "Servi liberi" promossa da Giuliano Ferrara martedì scorso al cinema Capranica di Roma. Comparivano i volti e si ascoltavano le frasi dei direttori dei giornali berlusconiani e soprattutto di Ferrara, della Santanché e di Alessandra Mussolini.

Non è stato un rilancio ma un funerale del berlusconismo la riunione del Capranica officiata dai suoi più ferventi seguaci. Basta averli ascoltati per arrivare a questa conclusione. Ma alla stessa conclusione si è arrivati seguendo ad "Annozero" il dibattito tra i due ministri e i due oppositori. Brunetta e Castelli sembravano due maschere buffe del teatro napoletano trasportate al Nord. Bersani e Di Pietro hanno avuto facile gioco. Chi avesse avuto dubbi su come è stata ridotta la democrazia italiana dopo 17 anni di berlusconismo non può averne più: quel dibattito è un documento e dopo averlo ascoltato riesce inconcepibile concepire che quei due personaggi siano due ministri della Repubblica.

Fine dell'anteprima. Chi non l'ha vista se ne procuri la registrazione, ne vale la pena.

* * *

Oggi e domani si vota sui quattro quesiti referendari. Si vota "sì" oppure "no" oppure non si vota affatto con l'intenzione di far fallire i referendum.

Bisognerà a tempo debito riformare la legislazione referendaria introducendo il referendum propositivo accanto a quello abrogativo e togliendo il "quorum". Se una legge vigente non piace o se un gruppo consistente di cittadini vuole proporre una legge, il "quorum" non ha senso come non avrebbe senso per le elezioni politiche e amministrative dove infatti non è previsto.

Ma questo riguarda il futuro. Al momento il "quorum" è previsto e chi vuole che vinca il "sì" deve come prima condizione fare quanto può perché sia raggiunto. Chi punta sull'astensione sa che si gioverà dell'astensionismo fisiologico che oscilla da sempre tra il 15 e il 20 per cento. Basterà dunque che l'astensione attiva sia del 35 per cento per vanificare la massa dei "sì". Così avvenne anche per la procreazione assistita.

I "sì" e i "no" che vanno a votare giocano dunque con un braccio legato rischiando di perdere con un 50 contro un 35. Sarà questo il risultato? Noi crediamo e speriamo di no perché crediamo che i quattro quesiti meritino il "sì". Ed anche per gli effetti politici che una vittoria referendaria potrà provocare.

Dopo la sconfitta al primo turno delle amministrative e quella ancor più cocente nei ballottaggi, l'ottenimento del quorum e la vittoria dei sì completerebbe la serie con effetti imprevedibili. Escludo le dimissioni di Berlusconi, ma non escludo l'implosione sia del Pdl sia della Lega. Implosione già in corso in entrambi quei partiti, resa ancor più acuta dalla situazione economica, dalla precarietà dei mercati finanziari, e dalle richieste dell'Europa ai paesi con bassa crescita ed elevato debito pubblico.

* * *

In entrambi questi due dati di fatto - bassa crescita ed elevato debito pubblico - l'Italia è in testa rispetto a tutti gli altri paesi dell'Unione europea, preceduta soltanto dalla Grecia, dal Portogallo e dall'Irlanda. E qui, sulla politica economica e fiscale, campeggia la personalità di Giulio Tremonti. Anzi il problema Tremonti, perché negli ultimi mesi e in particolare dopo la batosta delle amministrative, il ministro dell'Economia è diventato un problema sia per Berlusconi sia per Bossi. Un problema pressoché irrisolvibile.

Sia Berlusconi sia Bossi hanno bisogno, per tener compatti i loro seguaci, di alleviare la pressione fiscale che grava sulle fasce medio-basse e sulle imprese medio-piccole. Tremonti si dichiara disposto a questi alleggerimenti ma li colloca nel 2014. Nel frattempo preannuncia l'esatto contrario: dovrà prelevare dai contribuenti 40 miliardi di denaro fresco per portare in pareggio il deficit e il bilancio. Ha deciso di spalmare questo prelievo su quattro esercizi: 3 miliardi quest'anno, 8 nel 2012 e 15 in ciascuno dei due anni successivi.
La crescita? Aspetterà. Gli sgravi? Aspetteranno oppure concederà qualche briciola tra un anno purché avvenga a costo zero.

Il termine costo zero significa dare con una mano e recuperare con l'altra. Dare in basso e recuperare in alto, esattamente il contrario di quanto desidera il Cavaliere. Il quale tuttavia qualche cosa ha ottenuto: potrà proclamare che entro il prossimo luglio il governo (Tremonti consenziente) approverà la legge di delega fiscale per attuare una riforma orientata all'abbassamento delle tasse.

Vero? No, falso. Tremonti ha accettato la delega fiscale che però procederà di pari passo con la manovra di 40 miliardi e degli sgravi a costo zero e Berlusconi e Bossi hanno dovuto fare buon viso a questa condizione. I decreti delegati procederanno dunque a passo di lumaca a cominciare dal 2012 e non produrranno alcun beneficio sui consumi, sui redditi medio-bassi, sulla condizione dei giovani e del Mezzogiorno. Ma neppure nel Nord. Nessun beneficio, anzi nel Nord semmai qualche onere maggiore.

Il solo beneficio per B. e B. sarà di carattere lessicale: potranno dire e proclamare che si approverà immantinente la delega fiscale per abbassare le tasse sperando che il colto popolo e l'inclita guarnigione siano composti da imbecilli. Questa è la loro speranza. Piuttosto esile. Nemmeno i "Servi liberi" ci crederanno. Ormai la gente vuole fatti e poiché i fatti saranno addirittura di segno contrario la gente sarà sempre più arrabbiata.

* * *

Come si risolve il rebus della crescita senza abbandonare il rigore? Che significa "costo zero" in linguaggio concreto?

Non è un rebus di impossibile soluzione; basterebbe ridurre equamente le diseguaglianze e stipulare un patto sociale e generazionale; tutelare la sicurezza del lavoro flessibile ma non precario; portare la tassazione delle rendite a livello europeo e detassare i redditi medio-bassi e le imprese medio-piccole.

Passare gradualmente dalla tassazione sul reddito personale a quella sulle cose è una buona filosofia fiscale e Tremonti fa bene a indirizzare la sua riforma su questa strada, ma non è aumentando l'Iva che ci si arriva. L'Iva colpisce i consumi e genera inflazione, mentre i consumi dovrebbero essere rilanciati per poter rilanciare anche gli investimenti.

Per tassare le cose invece delle persone bisogna scegliere la via delle imposte reali completandole con una patrimoniale ordinaria a bassa aliquota (per molti anni fu dell'1 per cento quando Luigi Einaudi ne scriveva negli anni Venti dell'altro secolo) allo scopo di mantenere la progressività delle imposte che rischierebbe di perdersi passando dalle persone alle cose.

Su questi pilastri si può costruire il patto sociale e generazionale ed in questo quadro il federalismo acquista un senso nazionale e cementa l'unità del Paese combinando efficienza e solidarietà. La condizione affinché questa rinascita avvenga è che abbia termine al più presto l'ubriacatura populista e sia ripristinata la legalità.
L'appuntamento referendario di oggi e domani costituisce una tappa importante di questo cammino. Questa volta non è mancato l'incitamento della Chiesa a partecipare al voto. Nelle ultime ore quell'incitamento esplicito lanciato dal Papa è stato diffuso dalle parrocchie, dalle Comunità e dai monasteri soprattutto femminili. I giovani dal canto loro hanno usato in massa gli strumenti delle tecnologie. C'è stata una mobilitazione intensa e capillare e questo è di per sé motivo di conforto e di speranza. Se il risultato sarà positivo un grande passo avanti sarà stato compiuto.

mercoledì 8 giugno 2011

Lettera a un potenziale votante ai prossimi referendum(4 SI,please)

di Luca Mereu


Caro amico votante mi rivolgo proprio a te che stai sempre a casa a criticare Berlusconi o quell'altro con i baffetti che tanto sono tutti uguali; che preferisci stare rinchiuso in casa a mandare poke su facebook a quella bimbaminkia poco vestita che tanto, sicuramente, quasi certamente, è un travestito di Portotorres; che stai sempre a smadonnare ascoltando le boiate di Franco Battaglia su Chernobyl ad Annozero e ti è scesa addirittura una lacrima guardando in tv la tragedia di Fukushima; che per farti risarcire dall'assicurazione per il furto della tua auto ci hai messo due anni mentre Dell'Utri è ancora a piede libero e Silvio salvo subito; tu che vivi dalle parti di Bergamo Alta e vorresti ammazzare chi ha avuto la bella idea di privatizzare le autostrade, che Benetton saprà pure fare camicie resistenti, "pota" , ma alle 7.30 a Cinisello Balsamo per lavoro devi andarci tu.

Gentile amico con la capacità potenziale di cambiare le cose so per certo che domenica il tempo sarà bello - in Sardegna è sempre bello - e che vorrai finalmente goderti il bel mare di Sa Scaffa sino alle 21.59 e te lo meriti pure se ripensi all'incazzo che ti ha fatto venire la partita Lecce-Cagliari; che a giugno incomincia a fare caldo e che non te lo fa fare nessuno a perdere 5 minuti del tuo tempo (sapete quelle scocciature tipo trovare parcheggio a Las Plassas, andare a richiedere la scheda elettorale smarrita al Comune di Piscinas, "staccarti" dalle eccitanti discussioni con gli amici all'uscita dalla messa delle 19 per il santo patrono di Riola Sardo) per recarti a votare in polverossimi seggi scolastici dove la cosa più recente è una cartina geografica del '68 dove ancora campeggia la gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

E poi il lunedi: solo chi lavora in un ufficio pubblico sa quale inferno sia il rientro a lavoro dal week-end: chi, tra un caffè e un Tetris da completare, ha 5 minuti di tempo per chiedere un permesso lavorativo e andare a mettere 4 X sulla parolina magica SI?

Se poi è vero che per raggiungere il quorum ci vogliono 25.332.487 votanti non sarà certo un voto - il tuo voto - a fare la differenza, come disse Giuda a Gesù nel referendum dell'Ultima Cena.

Ma putacaso metti che il referendum non raggiungesse lo stramaledetto quorum per un voto - il tuo voto - e tu non fossi andato a votare e un giorno tu, sempre tu, logorroico figlio di mamma paripatetica, ti lamentassi che le bollette dell'acqua sono troppo alte e che questa settimana dovrai fare la dolorosissima scelta tra pagare la bolletta di Abbanoa o comprare il libro di grammatica di tuo figlio; o del fatto che quella centrale nucleare a Portovesme emana un pò troppi fumi fluorescenti e che i fenicotteri del Golfo di Palmas stanno incominciando ad essere sempre meno dal giorno che è cominciato quel rumoroso via-vai di camion con l'adesivo "Biohazard" attaccato sul cofano; o che non è troppo sano per il quieto vivere civile che una casta di oligarchi se la sfanghino ogni volta da reati anche gravi grazie al voto di lacchè, puttane, faccendieri e responsabili: beh in quel caso, ma solo in quel caso, se qualcuno scoprisse che a votare a quel referendum non ci sei andato avrebbe tutto il diritto di riempirti di botte.

E io di certo non confesserei la violazione dell'ottavo comandamento se per caso mi fermasse la polizia per chiedermi conto di tutto quel sangue per terra.

Anche se son sicuro che tu, con estrema non-chalance, diresti che tanto si vive una volta sola.

martedì 7 giugno 2011

La Primavera Sarda












La Nuova Sardegna 05/06/2011

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Per Renato Soru una nuova stagione politica si è aperta con le elezioni comunali. In un’intervista l’ex governatore parla della vittoria a Cagliari di Zedda, della fine del berlusconismo ed esprime un giudizio severo su Cappellacci.

Soru: «Più felice ora che nel 2004»

La vittoria di Zedda, la fine del berlusconismo, gli inganni di Cappellacci

Le primarie sono la grande lezione che il Pd ha dato a tutta la politica, Sel non può dire di aver vinto da sola

- Renato Soru, ha molto colpito il suo entusiasmo, direi la gioia, per la vittoria di Zedda a Cagliari.
«Sì, ero molto felice. Ma perché l’ha colpita?».
- Non l’aveva mai manifestata prima, almeno pubblicamente.
«Può darsi. In questi anni di me è invalso il luogo comune di una persona triste, autoritaria e arrabbiata».
- Non è così?
«E’ un’immagine costruita, anche con le barzellette di Berlusconi e la satira dei miei amici de La Pola».
- Lei come si dipinge?
«Sono una persona normale, con gioie e preoccupazioni, come tutti».
- E un po’ autoritaria.
«Non è vero neanche questo. Chi ha la responsabilità di decidere, decide. Non sempre lo si può fare in modo condiviso».
- Perché stavolta era così felice per le elezioni?
«Eravamo dentro un fatto storico. Dopo Bologna, Torino e Olbia, i ballottaggi confermavano la fine del berlusconismo».
- E’ davvero alla fine?
«Non so quanti mesi o settimane ci vorranno, ma quella prospettiva terribile di Paese si sta concludendo».
- Il dato di Cagliari contava molto per lei?
«Vedevo finalmente davanti a me una città diversa e possibile e ne ero felice».
- Si è riconosciuto nella vittoria di Zedda?
«Sì».
- Ha rivisto pagine sue?
«I dieci anni di Cagliari li riassumo così: non un’amministrazione incapace, ma molto peggio».
- E cioé?
«Ha negato il benessere alla città per mero calcolo politica e interessi economici».
- Condivide l’affermazione che siamo alla primavera sarda?
«Sì. In due anni Cappellacci ha perso prima in quasi tutte le Province e ora ha vinto solo a Iglesias. Le promesse di Berlusconi non attirano più».
- E’ anche una primavera italiana?
«Lo si vede dal modo con cui si sta disgregando il centrodestra e dai segni dell’Italia che ha resistito».
- Dentro le istituzioni?
«Penso alle considerazioni finali di Draghi e al ruolo assunto da Napolitano: il 2 giugno si è visto chi in Italia è il punto di riferimento degli altri Paesi».
- Era prevedibile, se l’aspettava?
«Non era prevedibile un anno fa. Ma ero fiducioso che prima o poi saremo usciti da questa dittatura».
- Dittatura?
«Ci sono quelle feroci e quelle leggere, mediatiche, di contrapposizione con gli altri organi dello Stato, di messa in discussione del primo articolo della Costituzione».
- Qual è stato il ruolo dell’opposizione?
«Molti osservatori l’avrebbero voluta più intransigente, ma la sua costante indignazione ci ha portato fin qui. Ora va fatto il resto».
- Prodi ha detto: mezzora per festeggiare e poi tutti a lavorare».
«Giusto, l’ha detto bene e non lo ripeto».
- Lei ha paragonato la vittoria di Zedda alla rivoluzione dei “giovani turchi”, la nascita politica di Cossiga, Dettori, Soddu e Giagu. Perché?
«Entrando in politica ho trovato molti giovani di trent’anni prima, una politica di cooptazione che non premiava né i migliori né i più coraggiosi. In questa politica è raro che uno prenda una bandiera e parta a cercare adesioni. L’hanno fatto i giovani turchi e l’ha fatto Zedda».
- C’è un nuovo protagonismo giovanile?
«Sì, giovani determinati e intelligenti, tra nuove tecnologie e attacchinaggio. E’ la loro vittoria».
- Soddu ha detto che è stata una fortuna che Zedda abbia battuto Cabras alle primarie, perché così il centrosinistra ha intercettato il cambiamento. Lei sosteneva Cabras.
«Sono un dirigente del Pd. Il Pd ha deciso di fare una proposta unitaria schierando un dirigente di grande esperienza, sul modello di Fassino. E io l’ho sostenuto lealmente con tutto il Pd. A Torino ha funzionato, a Cagliari no».
- La fortuna ha poi aiutato.
«Però va dato merito al Pd di aver messo l’istituto delle primarie tra i suoi valori fondamentali. Le organizza, le apre agli altri partiti e anche ai gruppi di giovani, ne accetta il risultato e poi lavora per la vittoria. Non è cosa da poco».
- Sembra che stia pensando al 2004.
«Senza primarie ho dovuto faticare otto mesi per essere candidato».
- Comunque ce l’ha fatta ugualmente.
«Perché ero conosciuto per la mia azienda e avevo mezzi organizzativi. Oggi è possibile a tutti».
- In sintesi, tra Pd e Sel chi ha vinto?
«E’ una discussione che non mi entusiasma. A Cagliari ha vinto il candidato del centrosinistra che ha vinto le primarie. Ma delle primarie va accettato anche questo: il candidato ha avuto il sostegno appassionato dei partiti».
- Conclusione?
«Hanno vinto tutti».
- Ora Sel chiede le primarie sul leader regionale. E’ d’accordo?
«Io sono per le primarie dappertutto».
- Subito?
«Le farei quando è il momento».
- Lei sarebbe della partita?
«In questa fase non sono in alcuna partita, penso all’azienda e faccio politica per quanto posso».
- Dopo la conclusione positiva del processo Saatchi si parlava di un suo ritorno in campo.
«Ma io sono stato sempre in campo in Consiglio regionale, in mezzo ai cittadini, insieme agli altri amici di Sardegna democratica in oltre cinquanta riunioni tematiche. E lo sono stato alle elezioni di Cagliari».
- Si diceva: in campo da protagonista.
«C’è un momento in cui ti tocca essere protagonista e momenti, altrettanto belli e pieni di significato, di aiuto ad altri protagonisti».
- Davvero momenti altrettanto belli?
«La gioia può essere la stessa».
- Nel 2004 così come ora con Zedda?
«Non ricordo la stessa gioia. Forse nel 2004 non l’ho provata».
- Perché c’era stato meno gioco di squadra?
«Forse mi sembrava una cosa normale».
- Torniamo alle primarie sul leader. Quando sarà il momento lei sarà della partita?
«In futuro sarò in campo in qualunque modo mi toccherà di esserlo».
- Sulla base della sua esperienza, che consiglio dà a Zedda?
«Lo sa già, di agire solo per il bene della città, scegliere una giunta autorevole fuori dai condizionamenti delle confraternite, portare avanti l’idea di città che ha avuto un’adesione così forte».
- Cosa cambierà nel concreto a Cagliari?
«Ci sarà un’attenzione diversa per il quartiere di Sant’Elia, per gli studenti universitari fuori sede e il campus universitario non costruito con motivazioni risibili pur di non sfavorire altri interessi, ci sarà la metropolitana leggera bloccata dagli interessi di progettisti e costruttori».
- Ha accusato l’amministrazione di aver agito contro l’interesse generale.
«Solo così riesco a spiegare i no al campus, al Betile, ai finanziamenti per l’unità d’Italia. Dice che non doveva copiare da altre città».
- E’ una motivazione.
«E perché allora copiano le multisale?».
- Si sono perse occasioni di sviluppo?
«Lo sviluppo è stato negato per motivi intollerabili e in questa Sardegna senza lavoro, certamente lavoro sarebbe nato da quei progetti».
- Veniamo al Pd sardo. Oggi ha una maggioranza molto ampia. Qual è la linea nella politica regionale?
«Il Pd, e direi il centrosinistra, non ha la responsabilità del governo ma quella di controllare la giunta. E deve contribuire al superamento del berlusconismo. Che alle elezioni regionali si è manifestato in maniera arrogante».
- Che tipo di opposizione a Cappellacci?
«Abbiamo il dovere di far emergere tutti gli inganni di questi due anni».
- Quali inganni?
«Dalle entrate finanziarie ai fondi Fas, dai trasporti all’energia».
- Partiamo dalle entrate.
«Il governo sta preparando una Finanziaria da 46 milioni in cui ci sono i soldi della Sardegna che Berlusconi non ha trasferito e forse non trasferirà mai».
- E il ricorso alla Corte costituzionale?
«Cappellacci si era impegnato ma non l’ha fatto».
- Berlusconi ha annunciato che i fondi per la Sassari-Olbia ci sono.
«L’ennesima barzelletta. La strada non è finanziata. E sono stati cancellati 3 miliardi di fondi Fas. Senza che un dito sia stato mosso».
- C’era la possibilità di ottenere risultati?
«La Sicilia si è rivolta alla Corte costituzionale e la legalità è stata ripristinata. Da noi la giunta ha preferito i titoli dei giornali: un giorno sull’insularità, un altro sulle norme di attuazione, poi su firme di nuovi accordi. Da un inganno all’altro».
- Un inganno anche la flotta sarda?
«Retorica, gran cassa delle cerimonie, ma in concreto nessun risultato. Prendiamo Olbia: ci sarà una disponibilità di posti che va dal 2 al 6 per cento. Una cosa marginale che distoglie l’attenzione dall’inerzia sul caso Tirrenia».
- Cosa avrebbe dovuto fare la giunta?
«Incalzare il governo sulla gara europeo, come per la continuità aerea».
- Ha parlato di inganni anche per l’energia. E sul nucleare?
«Lo stesso. Sono felice che Cappellacci abbia fatto questa scelta, ma sarei stato più contento se avesse firmato con altri presidenti il ricorso alla Corte costituzionale».
- La giunta ha però dato un contributo forte al superamento del quorum.
«Ma la pubblicità istituzionale ha fatto passare sotto traccia che il referendum era delle associazioni, prima fra tutte quella di Bustianu Cumpostu».
- Le dà fastidio che la giunta si sia messa alla testa della battaglia?
«Alla testa come mosca cocchiera. Può succedere solo in una società dalla memoria cortissima».
- In che senso?
«Noi tutti abbiamo fatto assemblee popolari sulle rinnovabili, mentre la giunta parlava con Carboni, Dell’Utri e Verdini a favore di pochi».
- Si riferisce all’inchiesta della magistratura.
«Non parlo degli aspetti giudiziari. Faccio una censura politica sulle riunioni carbonare, per le regole prima tolte e poi rimesse in tutta fretta lasciando la Sardegna nelle mani degli speculatori, che si sono potuti rivolgere al Tar».
- Ma alla fine c’è stato lo stop.
«A buoi scappati».
- Sta dipingendo una situazione di emergenza.
«E’ così. La cosa che mi ha dato più tristezza è vedere il movimento dei pastori andare da Briatore. Non ha più interlocutori alla Regione e si aggrappa a chiunque».
- Insomma, l’opposizione sarà durissima.
«C’è urgenza di mandare a casa la giunta. Pensi ai fondi europei che si perdono, già 220 milioni di euro, al crescente disavanzo della sanità, al nepotismo nelle Asl. Il centrosinistra ha il dovere di dare quanto prima un vero governo alla Sardegna».

lunedì 6 giugno 2011

22 Giugno 2011:PAOLO FRESU A NURECI








Nureci - Arena Mamma Blues (inizio concerto ore 21.30)
22/06/2011
“Kind of Porgy and Bess”

Paolo Fresu - tromba, flicorno, effetti; Dhafer Youssef – oud, voce; Nguyen Le – chitarre;

Antonello Salis - pianoforte, fisarmonica; Paolino Dalla Porta – contrabbasso; Stefano Bagnoli - batteria


L'INTERVISTA (La Repubblica del 24 gennaio 2011)
Paolo Fresu: "Per i miei 50 anni
invado la Sardegna a suon di jazz"
Giacomo Pellicciotti

Il trombettista italiano più famoso nel mondo progetta un megafestival con artisti internazionali. Chet Baker mi ha influenzato per il suo lirismo sconfinato, ma il mio guru è Miles Davis. Sono legatissimo alla mia terra. Mio padre era pastore

Più che un tour sarà un'avventura spericolata, una specie di ricerca dell'arca perduta nei paesi e villaggi della Sardegna in compagnia di vere e proprie celebrità del jazz internazionale, tutti amici-musicisti incontrati e conosciuti in trent'anni di carriera. È il grande regalo che si fa Paolo Fresu per il suo compleanno numero 50. Gli anni li compirà il 10 febbraio, ma il trombettista di Berchidda (Olbia-Tempio) ha deciso di festeggiarli la prossima estate con una vertiginosa impresa, "tra il folle e l'ambizioso", come dice lui. Si chiamerà "50 50": 50 come i suoi anni e 50 come i concerti programmati dal 12 giugno al 31 luglio ininterrottamente, una sera dopo l'altra in posti sempre diversi della Sardegna. Una lunga carovana musicale: si parte da Berchidda e si arriva a Cagliari. "È una follia, lo so, ma mi sono fatto prendere dall'idea della Sardegna che diventa centro del mondo, come a volte accade al festival "Time in Jazz" di Berchidda, il mio paese natale", racconta Paolo Fresu, a bassa voce, come fa d'abitudine, ma con parole cariche di entusiasmo, tutto preso dai preparativi che organizza mentre continua a firare con i suoi concerti: stasera è a Roma, ospite speciale della maratona dal vivo "Repubblica Roma Rock" al Parco della Musica di Roma, al fianco di artisti emergenti, Raffaele Casarano, Mini K Bros, Momo e il gruppo L'insolito Clan.

Sognatore o megalomane: Fresu, un compleanno sontuoso il suo.
"È una sfida. Per
me catartica. Cosa altro può essere se non una sfida progettare 50 concerti di fila l'uno diverso dall'altro in posti dove forse mai più ci sarà un altro concerto. Niente a che vedere con i normali teatri: abbiamo chiesto ai comuni sardi di scegliere luoghi-simbolo, di interesse architettonico o sociale, anche se difficili da raggiungere. Sarà un viaggio musicale e artistico in giro per l'isola con una vera carovana di tecnici e specialisti del suono che monteranno e smonteranno ogni giorno uno spettacolo nuovo".

E chi la seguirà?
"Ci saranno tutti i musicisti con i quali ho collaborato fino ad oggi, provenienti da tutto il mondo. Da Carla Bley e Steve Swallow a Ornella Vanoni, da Uri Caine o Bojan Z al trio con Richard Galliano e Jan Lundgren, ma anche attori come Lella Costa. Ci esibiremo in scenari naturali e poco usuali, sui reperti di
un teatro romano o nel magnifico villaggio nuragico di Barumini. E poi in un luogo da sogno".

Quale?
"È un sogno che si avvera suonare sull'isoletta Forradada vicino Alghero, magari sulle barche perché non c'è altro posto per montare il palco. Ecco un'altra sfida da affrontare, il rispetto per l'ambiente, come abbiamo già iniziato a fare da tre anni a Berchidda. Stavolta preserveremo luoghi così incontaminati, producendo noi stessi l'energia elettrica con sistemi innovativi. Tutto sembra molto complesso, ma ci riusciremo. Ci saranno artisti che varcheranno l'oceano per suonare una sola sera, sapendo che non sarà alla Carnegie Hall. Ma proprio per questo avrà più senso. Alla fine del tour uscirà un libro e forse un film. Un libro a più mani, un diario di bordo scritto da tutti i partecipanti alla nostra movimentata avventura".

Tutto il progetto sembra un omaggio alla sua terra, la Sardegna?
"Lo è. La Sardegna ha dato un contributo fondamentale alla cultura del nostro paese, esportando pensatori, artisti e politici di grande livello, sia di destra che di sinistra. Eppure continuano a trattarla come se fosse l'ultimo chilometro dell'impero. Sono figlio di pastori e so cosa vuol dire vivere la campagna realmente. Mio padre ha fatto grandi sacrifici per farmi studiare. Dopo essermi diplomato come perito elettrotecnico, fui convocato a Sassari per un colloquio di lavoro. Ero uno dei migliori e mi offrirono un impiego allettante che rifiutai, ma mio padre non fece drammi. "Fai quello che vuoi", mi disse, "basta che non fai il pastore"".

Perché?
"Perché sapeva che fare il pastore oggi è un inferno. E quando li vedo che manifestano e vengono picchiati, mi viene da piangere. La Sardegna attraversa un momento difficilissimo, come tutta l'Italia. Ma pur con tutte le potenzialità turistiche, l'ambiente straordinario, le risorse e la cultura che offre, non mi pare che stia ottenendo dal governo un aiuto effettivo. Mi fa così tristezza. Ma io non mi rassegno e dedico spesso i miei concerti alle ragioni dei pastori sardi, come ho appena fatto a Orvieto a Umbria Jazz. L'anno scorso a Berchidda ho fatto salire sul palco una delegazione degli operai della Vinyls che protestavano all'Asinara, sollevando l'annoso problema mai risolto della petrolchimica nell'isola".

Tornando alla musica, le dà fastidio quando l'accusano di avere rubato il suono della tromba di Miles Davis, sordina compresa?
"Nessun fastidio, d'altra parte ho sempre detto che Miles Davis è stato un mio grande maestro. Come lo è stato anche Chet Baker, con il suo lirismo sconfinato. Ma con il suo percorso sempre innovativo Miles Davis è uno che ha cambiato più volte il corso della musica. Un grande dello stesso livello di Fellini, Picasso e pochi altri".

domenica 5 giugno 2011

Bersani:"Gli elettori di centro e sinistra si sono già mischiati"












Intervista del Corriere della Sera(Aldo Cazzullo)a Pierluigi Bersani




Segretario Bersani, cosa rappresenta per lei questo voto?
«Il segno di una riscossa civica, nel quadro di un problema sociale che si è fatto acuto e ha via via reso vulnerabili anche i ceti che finora si erano ritenuti al riparo dalle incertezze. È la prova che nell'incrocio tra questione democratica e questione sociale c`è l'evoluzione della crisi del Paese. Il rito personalistico e populistico si è mostrato inconcludente e menzognero di fronte ai problemi che prometteva di risolvere. Lo si vede più nettamente al Nord; cioè nel luogo più dinamico».


Bersani, è sicuro che il Pd abbia vinto? Pisapia e de Magistris non erano i vostri candidati.
«In questo tam tam c`è la velina del terzismo: un colpo al cerchio e uno alla botte, se Atene piange Sparta non ride. Siamo l`unica democrazia al mondo in cui si ragiona così. In realtà, se uno perde ci dev`essere qualcuno che vince. I dati sono chiarissimi: su 29 vittorie, il Pd aveva 24 candidati; a Milano, su 28 consiglieri del centrosinistra il Pd ne ha 24. Non solo il nostro partito non ha pagato una presunta opzione radicale, ma elettoralmente ha spesso compensato i problemi degli alleati. Oggi siamo la forza centrale nella costruzione di un'alternativa. E cresciamo mettendoci al servizio di un centrosinistra che si apre a tutte quelle forze e a quelle opinioni che pensano di andare oltre Berlusconi su un terreno saldamente costituzionale. Gli elettorati di sinistra e centristi si sono già ampiamente mescolati nei ballottaggi».


Questo significa che continuate a cercare l`accordo con il terzo polo? Oppure la sinistra può fare da sé?
«La barca della politica deve avere più pescaggio. Magari viaggerebbe più lenta; ma è bene avere più pescaggio. C`è un`esigenza di ricostruzione. Il Paese ha davanti problemi seri; è tempo di affrontarli. Una democrazia che assuma un carattere costituzionale, una politica economica che prenda atto della realtà, la necessità di uscire dalla malattia del berlusconismo, sono obiettivi che ormai accomunano gli strati di opinione che si definiscono di centrosinistra con altri di centro o anche di centrodestra non berlusconiano».


Quindi avanti verso un`intesa più ampia possibile?
«Vedremo se la congiunzione avverrà tra elettori, o tra forze politiche. Il Pd intende ribadire questa prospettiva: un centrosinistra che non rifaccia l`Unione ma si vincoli a riforme visibili ed esigibili, proposte a tutte le forze politiche, cittadine, sociali che vogliono guardare oltre Berlusconi. Non esiste la possibilità di alzare steccati verso chi ha mostrato di voler discutere con noi. In nome di un'esigenza costituente, il centrosinistra non metta barriere e si rivolga in modo ampio. Tocca alle forze politiche prendersi responsabilità».


Ma alle Amministrative accordi con il terzo polo ne avete fatti pochini.
«Dove non sono venuti i partiti, sono venuti gli elettori. Dove l`accordo si è fatto, come a Macerata, nessuno ha pagato alcun prezzo».


L'allarme sociale è così grave secondo lei?
«Vedo che nel centrodestra si chiacchiera molto: Alfano, primarie. Non trovi mai una discussione che parta dai problemi. Eppure, dopo il referendum avremo di fronte scelte micidiali. Nelle carte che Tremonti ha già scritto, anche se forse Berlusconi forse non le ha lette, c`è scritto che dobbiamo arrivare al 2014 con una base di spesa pubblica di 40 miliardi in meno, forse anche 50. Io dico: è irrealistico. Non lo possiamo fare, se no andiamo in recessione sparati. Non si è voluto andare in Europa e dire: noi facciamo un pacchetto di riforme strutturali - fisco, lavoro, li beralizzazioni, pubblica amministrazione - e impostiamo tagli più graduali».


Ma voi sosterreste un governo di fine legislatura, con un premier diverso da Berlusconi, che impostasse queste riforme? «Il governo non è operativo da mesi e mesi. La coalizione che vinse il premio di maggioranza non esiste più. Il voto ha dimostrato che Berlusconi non ha più neppure la maggioranza nel Paese. Dovrebbe presentarsi dimissionario alla verifica che giustamente gli chiede il capo dello Stato, e rimettersi a lui. La nostra opinione è che a quel punto la strada maestra sarebbe il voto. Siamo pronti però a discutere un rapido passaggio che consentisse di andare a votare con una diversa legge elettorale, perché questa deforma l`assetto democratico. Purtroppo Berlusconi sembra insistere nella sua tecnica di sopravvivenza estenuata. E il distacco non solo tra governo e Paese ma anche tra istituzioni e Paese si accentua. Mi chiedo come la Lega possa accettarlo».


Lei ha lanciato segnali alla Lega, con formule tipo «partito di popolo a partito di popolo». Dove vuole arrivare? Potrete mai fare un pezzo di strada insieme?
«Noi siamo alternativi alla Lega. Ma le diciamo: il federalismo non finisce se finisce Berlusconi. A noi interessa, naturalmente dal punto di vista di un partito saldamente nazionale, come ci interessano temi che una volta Bossi indicava e ora sono finiti nel bosco: la sburocratizzazione, la trasparenza, la pulizia. Noi su questi temi ci siamo. Con un punto di vista diverso dal loro, ma ci siamo. Io ad esempio non ho mai detto che la Lega è razzista. Ho detto che, a forza di ripetere "ognuno a casa propria", si finisce per assecondare pulsioni razziste. Ormai il calo del Pdl non porta buono alla Lega. La somma non è zero. Perdono tutt'e due. Se poi la Lega pensa di uscirne chiedendo più ministeri, diremo al Nord che ha legato il Carroccio dove voleva l`imperatore».


L`accordo con il terzo polo significa rinunciare alle primarie. E così?
«Non è questo il punto. Io ho chiara la sequenza, che esporrò nella direzione Pd di lunedì (domani; ndr): prima i problemi, e le riforme; il Pd presenta un progetto per l'Italia e ne discute con chi ci sta. A cominciare naturalmente dal centrosinistra; poi si decide il passo successivo. Le primarie le abbiamo inventate noi e restano sempre la strada preferita; ora vedo che ne parla anche il Pdl; ma primarie e Berlusconi sono un ossimoro. Non mettiamo però le primarie in testa. In testa mettiamo una decine di riforme da fare: democratiche e sociali. Se negli anni '90 avevamo l`euro, oggi il grande obiettivo devono essere le nuove generazioni. Organizziamo ogni cosa intorno a questo, disturbandoci, pagando qualche il prezzo. Chi ha di più, dia di più».


Lei sa bene che l`Irpef non fotografa la ricchezza degli italiani ma dei lavoratori dipendenti. Finireste per colpire il ceto medio.
«Non è così. Noi vogliamo un'operazione seria, solida, in nome dei giovani. Alleggeriamo le imposte sul lavoro e sull'impresa che dà lavoro. Colpiamo l`evasione e le rendite immobiliari e finanziarie. Aggrediamo la precarietà: un`ora di lavoro stabile deve costare un po' meno, un'ora di lavoro precario un po' di più».


Casini invita a votare due no al referendum. Voi siete per il sì. Come la mettiamo?
«Intanto è importante l'impegno affinché si vada a votare. II quorum andrebbe calcolato in proporzione ai votanti delle ultime Politiche. Raggiungere il 5o% non è facile, ma possiamo farcela. Senza politicizzare il referendum, che sarebbe un errore».


La destra la accusa di aver cambiato idea sulla privatizzazione dell`acqua.
«Il referendum semplifica tutto: sì o no. Noi siamo contro l`obbligo di privatizzare la gestione dell`acqua. Per quanto riguarda la questione della governance e degli investimenti, in Parlamento c`è una nostra proposta di legge. Se vince il sì, ripartiamo da quel testo».


Vendola nel '98 votò per la caduta di Prodi. Oggi le pare un alleato affidabile? Anche sull'Afghanistan?
«Lo verifichiamo, prima del voto. Ci presenteremo agli italiani senza ambiguità. Quando dico che non vogliamo rifare l`Unione, intendo che dobbiamo costruire un profilo di governo, anche sulla politica estera. Non do nulla per scontato. Mi auguro che ognuno si prenda le sue responsabilità».


Prodi è salito con lei sul palco della vittoria, e già si parla del Quirinale...
«Mi ha fatto un grande piacere averlo al mio fianco. Vedo in lui il padre nobile della grande operazione che stiamo portando avanti: Prodi ha già un ruolo internazionale. E un uomo che ha una visione strategica, e abbiamo bisogno anche di quella. Più grande sarà la sua disponibilità, più grande sarà la mia disponibilità a impiegarlo in battaglia».

Pd:basta con gli schemini sulle alleanze


Intervista del Corriere della Sera a Nicola Zingaretti,Presidente della Provincia di Roma



ROMA — Zingaretti, quale insegnamento dovrebbe trarre il centrosinistra dal voto? «Le elezioni hanno rappresentato un grande passo avanti rispetto al dibattito del centrosinistra, perché hanno dimostrato che per il nostro elettorato gli schemini delle alleanze non hanno fondamento. Si è manifestato dappertutto un processo di aggregazione di una massa enorme di elettorato che ha scelto sulla base di due cose: la credibilità delle persone e la speranza di cambiamento. Quest’ultima è importantissima. La vera posta in gioco, infatti, non era solo il governo delle città, ma il superamento della paura che il rapporto tra l’Italia e Berlusconi fosse indistruttibile e che quindi qualsiasi cosa facessimo non si potesse mai cambiare niente. In questo senso il voto cambia la storia italiana perché viene alla luce che in realtà negli ultimi mesi è maturato nella società un processo che ha leso la credibilità della leadership di Berlusconi, fondamentalmente per due motivi: perché alle sue parole non seguono mai i fatti e perché il disagio sociale ha raggiunto delle vette altissime».

Dunque le elezioni dimostrano che Berlusconi si può battere senza giochini di palazzo o ribaltoni. «Assolutamente sì. Evitiamo di fare errori, alziamo gli occhi dal contingente. Per metterci in sintonia con il popolo di centrosinistra che ha votato Pisapia, de Magistris, Fassino, Zedda, lanciamo una grande sfida per una nuova fase di modernizzazione dell’Italia. Dobbiamo “aggredire” i due principali fallimenti della destra — la mancata crescita e l’ingiustizia sociale — e creare la nuova Italia».

Nel Pd ci sono due linee: governo tecnico o elezioni. Lei che ne pensa? «Innanzitutto dobbiamo costruire le condizioni perché si realizzino le dimissioni. Ciò detto, io penso che noi dovremmo saper cogliere ora questa spinta che c’è nella società e cercare di andare al voto».

Bersani vuole cavalcare la battaglia referendaria, altri nel Pd sono più tiepidi. «Fare la campagna referendaria è importante perché è una straordinaria occasione non solo per dire “no” al nucleare ma anche “sì” a un nuovo modello di sviluppo. In questa fase ci sono molte congiunture che possono farci fare la mossa del cavallo e anche per questo abbiamo grande necessità di rinnovare noi stessi».

Cioè, di rinnovare il Pd? «Sì. Bersani, che io ho sempre difeso quando era “cool” dire che era un leader finito, ora che ha attorno a sé un clima molto più sereno, ha una grande chance: quella di promuovere una profonda innovazione dello strumento partito. Oggi per difendere la ditta, per usare una sua parola, bisogna cambiarla. E quindi ha fatto bene ad annunciare un appuntamento come la conferenza programmatica. Lì bisognerebbe introdurre grandi novità».

Esempi concreti di rinnovamento? «Il pluralismo correntizio oggi non è adeguato a farci discutere dei problemi italiani e a farci selezionare una classe politica fondata sul merito e non sulle appartenenze e la fedeltà ai capicorrente. E allora bisognerebbe fare una proposta rivoluzionaria: eleggere il segretario nazionale con le primarie, ma senza le liste collegate, che cementificano le appartenenze e che spesso hanno dato l’idea che non esista un partito, ma una federazione di gruppi. Insomma, proprio perché mi sono sempre sentito solidale con la fatica silenziosa di Bersani per non spostare la barra del Pd, ora penso che debba usare questa forza per cambiare tutto».

Lei, comunque, è favorevole alle primarie? «Io penso che sia un punto talmente identitario per il Pd, che non si può abbandonare. Bisogna invece cancellare le liste collegate ai candidati perché il nostro elettorato ci chiede un soggetto unitario: ci vuole un nuovo natale del Pd».

Rinnovare il Pd significa anche pensare a un soggetto politico più ampio in cui convivano Sel, Idv e altri pezzi del centrosinistra? «Io non ho formule, ma bisogna guardare al processo politico che questo voto ci prospetta, perché noi, Sel e Idv, abbiamo dietro un elettorato molto unito, che ha votato Fassino a Torino e de Magistris a Napoli, e che rappresenta un campo di forze che va riorganizzato. E’ in atto un processo al quale dobbiamo guardare con il coraggio dell’innovazione».

Dopo il voto, però c’è chi, nel Pd, continua a dire: apriamo all’Udc, non spostiamoci a sinistra. «Io mi rifiuto di ripartire con questi schemi. Il voto ha ucciso la dicotomia “o di qua o di là” e ha dimostrato che gli elettori non sono di proprietà dei partiti e quindi non è mettendo d’accordo i partiti che si mette d’accordo l’elettorato».

Domanda inevitabile, che farà da grande: il sindaco, il segretario? «Voglio sgomberare il campo da un equivoco che c’è dietro questa domanda che mi viene spesso rivolta. Io non sto in panchina: io sono a capo di un ente di 4 milioni di abitanti, in una situazione politica che mai nel dopoguerra si era realizzata, perché sia la regione, che il comune e il governo nazionale sono del centrodestra. Eppure il consenso e la credibilità crescono, e per un motivo semplice: al contrario di quello che si può pensare io in campo ci sto tutti i giorni con l’azione di governo».

Ma se si rifiuta anche di andare in tv per non dire che farà da grande.. «E vero mi sono rifiutato tantissime volte di partecipare a molte trasmissioni e lo rivendico. Ho un’idea diversa della politica, che assomiglia troppo al Truman show, dove c’è chi fa la destra, il centro e la sinistra che si scannano e poi c’è l’Italia, che resta fuori. Per tornare alla domanda “che cosa farò a grande”, dove il grande è relativo perché ho 46 anni, le dico che farò quello che ha sempre fatto, cioè quello che tutti insieme, il Pd e il centrosinistra, riterremo utile. Mi batterò perché a Roma si facciano le primarie e poi decideremo insieme il candidato».

Maria Teresa Meli