giovedì 29 dicembre 2011

Buon Anno














Per voi, amici miei, i miei migliori auguri per l’anno che sta per aver inizio. Con la convinzione che anche questo nuovo anno sarà, in fondo, come noi lo faremo. Perché, se è vero che non possiamo scegliere quello che le stelle, il fato, la fortuna ci porteranno, possiamo comunque scegliere con che occhi guardare a ciò che viene e con che atteggiamento affrontarlo. Allora vi auguro di saper riconoscere e cogliere tutte le opportunità che incontrerete per strada; vi auguro di non scoraggiarvi di fronte alle difficoltà ma di sapervi trovare piuttosto motivo e mezzo per cambiare e crescere; vi auguro un animo lieto e puro e attento per stupirvi di nulla e essere felici delle piccole gioie quotidiane che spesso trascuriamo. Vi auguro di avere sempre la forza di riprovarci, di non abbattervi, di rialzarvi con rinnovato entuasiasmo… perché, in fondo, nulla ci vieta di pensare che le cose migliori sono quelle che vivremo domani, o domani l’altro… Vi auguro di leggere, ascoltare musica e trovare sempre tempo per le passioni che colorano la vostra vita. Vi auguro di non smettere mai e mai di credere in voi stessi e nelle cose che sapete e potete fare… e che tutto questo vi porti, dunque, un anno ricolmo di gradite sorprese, appagamento, serenità, amici, affetto, amore, calore e attimi di pura felicità. E ancora di tutte quelle cose capaci di riempire di senso la vostra vita.

Buon anno dal cuore!

mercoledì 28 dicembre 2011

Un'altro piacevole confronto tra un non-credente e un eminente cardinale

IL DIALOGO

Il senso della vita nelle parole di Gesù


Eugenio Scalfari e il cardinale Martini ragionano sui nodi che stringono fede ed esistenza terrena. Due punti di vista partiti da premesse diverse cercano nella giustizia nella carità e nel perdono una prospettiva comune
di EUGENIO SCALFARI









"Amor sacro e Amor profano" di Tiziano (1515, alla Galleria Borghese di Roma)




IN FONDO ad un lungo corridoio una porta a vetri si apre su una piccola stanza dove scorre il tempo di Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, biblista, pastore di anime e di coscienze, cardinale di Santa Romana Chiesa. Siede su una poltrona accanto ad una finestra dalla quale si vedono un pezzo di cielo e un cipresso.

Accanto a lui c'è il suo assistente, don Damiano, che è quasi la sua ombra, lo aiuta a muoversi, gli somministra le medicine alle ore stabilite, lo accompagna nei suoi spostamenti ormai rari. Non è frequente che un gesuita diventi cardinale e ancor meno frequente che sia stato alla guida della diocesi più importante d'Europa, ma Martini è un'eccezione per tante cose ed anche per la sua carriera ecclesiastica.

A me è capitato di vedere molto da vicino i gesuiti in una fase particolare della mia vita: avevo vent'anni, era il 1944, Roma era occupata dai nazisti; i giovani di leva e gli ebrei erano ricercati dalle SS, la polizia militare del Reich, ed io trovai rifugio insieme ad un centinaio di altri giovani nella Casa del Sacro Cuore dove i gesuiti gestivano i cosiddetti "esercizi spirituali". Duravano al massimo una settimana, ma nel nostro caso durarono più d'un mese. La Casa era extra-territoriale, con bandiera del Vaticano alla finestra e guardie palatine al portone.

Poiché, come ci disse il padre rettore, i gesuiti non dicono bugie, gli esercizi spirituali dovemmo farli in piena regola sebbene tra di noi ci fossero molti ebrei e alcuni non credenti.

Per me fu una preziosa esperienza anche perché il rettore era padre Lombardi, un prete di notevole personalità e grande finezza intellettuale cui in seguito fu dato il soprannome di "microfono di Dio" per le sue attività che a dire il vero erano più politiche che pastorali.

I gesuiti che conobbi in quell'occasione e che guidavano le "meditazioni", celebravano la messa e le altre funzioni religiose che costellavano la nostra giornata, li osservai con molta attenzione; il rettore, quando ci separammo, mi propose addirittura di iscrivermi all'Università Gregoriana, eravamo entrati in confidenza ed anche in polemica durante una serie di dibattiti su Sant'Agostino e su San Tommaso.

Ricordo queste vicende personali per dire che i gesuiti che conobbi allora non somigliavano in nulla a Carlo Maria Martini. Erano molto accoglienti e amichevoli, ma piuttosto arcaici nel loro modo di considerare la religione; Martini invece è pienamente coinvolto nella modernità di pensiero. Quanto all'intensità della fede, non sta certo a me misurarla; dico solo che la fede di Martini ti fa pensare perché emerge dal suo profondo; quella che si respirava al Sacro Cuore aveva invece un sentore di sacrestia piuttosto sgradevole per chi come me la fede non ce l'ha e neppure sente il bisogno di cercarla.

Vi domanderete allora quale sia la ragione per la quale io frequenti Martini e lui accetti di buon grado questa frequentazione. La mia risposta è che siamo sulla stessa lunghezza d'onda, ci sentiamo in sintonia l'uno con l'altro e il motivo probabilmente è questo: ci poniamo tutti e due le stesse domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sembrano essere diventante un luogo comune queste domande e forse lo sono, ma continuano a costituire la base d'ogni filosofia e d'ogni conoscenza. Le nostre risposte spesso differiscono ma talvolta coincidono e quando questo avviene per me è una festa e spero anche per lui.

Il nostro di oggi è il quarto incontro che ho avuto con lui; è il 6 dicembre, fuori piove, siamo nella casa di riposo della Compagnia di Gesù a Gallarate in un edificio che fu donato alla Compagnia una cinquantina d'anni fa dalla famiglia Bassetti. Gli incontri precedenti sono avvenuti nel 2009 e nel 2010, ma il primo fu un dibattito che avvenne a Roma alla fine degli anni Ottanta a palazzo della Cancelleria, organizzato da don Vincenzo Paglia, della comunità di Sant'Egidio.

Il cardinale è ammalato di Parkinson, è lucidissimo, ma cammina con difficoltà. Da qualche tempo il male gli ha molto affievolito la voce che è diventata quasi un soffio, ma don Damiano ha imparato a leggere dal movimento delle sue labbra le parole senza voce e le traduce per renderle comprensibili.

Il nostro colloquio qui trascritto è stato rivisto dal cardinale: le difficoltà della comunicazione rendevano necessario il suo "imprimatur".

Scalfari Vorrei cominciare il nostro dialogo da un nome e dalla persona che lo portava: Gesù. Per me quella persona è un uomo nato a Betlemme, dove i suoi genitori Giuseppe e Maria che vivevano a Nazareth si trovavano occasionalmente il giorno e la notte del parto. Per lei, eminenza, quel bambino è il figlio di Dio. Sembrerebbe che la differenza tra noi su questo punto sia dunque incolmabile. Eppure è proprio quel nome che ci unisce. Lei lo chiama Gesù Cristo, io lo chiamo Gesù di Nazareth; per lei è Dio che si è incarnato nel Figlio, per me è un uomo che è creduto essere il Figlio e in quella convinzione ha vissuto gli ultimi tre anni della sua vita, gli anni della predicazione e poi della "passione" e del sacrificio. Ma la predicazione è appunto quel tratto della sua vita che ci unisce. Ho pensato molto all'incontro di due persone già avanti negli anni che vengono da educazioni, culture e percorsi di vita così diversi che sono desiderosi di conoscersi sempre più e sempre meglio. Ha un senso tutto questo? Qualche volta penso che lei speri di convertirmi, di farmi trovare la fede. Questo rientrerebbe nei suoi compiti di padre di anime. È questo che lei si propone?

Martini No, non penso di convertirla anche se non possiamo escludere né io né lei che ad un certo punto della sua vita la luce della fede possa illuminarla. Ma questa è un'eventualità che riguarda solo lei. Lei cerca il senso della vita. Lo cerco anch'io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede. È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può riconquistare. Il dubbio fa parte della nostra umana condizione, saremmo angeli e non uomini se avessimo fugato per sempre il dubbio. Quelli che non si cimentano con questo rovello hanno una fede poco intensa, la mettono spesso da parte e non ne vivono l'essenza.

La fede intensa non lascia questo spazio grigio e vuoto. La fede intensa è una passione, è gioia, è amore per gli altri ed anche per se stessi, per la propria individualità al servizio del Signore. Il Vangelo dice: ama il tuo prossimo come ami te stesso. Non c'è in questo messaggio la negazione dell'amore anche per sé, l'amore - se è vera passione - opera in tutte le direzioni, è trasversale, è allo stesso tempo verticale verso Dio e orizzontale verso gli altri. L'amore per gli altri contiene già l'amore verso Dio. Lei ama gli altri?

Scalfari Non sempre, non del tutto. Mentirei se dicessi che amo gli altri con passione come amo alcune persone a me vicine e mentirei se dicessi che l'odio è un sentimento a me ignoto. Detesto l'ingiustizia e odio gli ingiusti. I diversi da me li tollero e in qualche caso li amo pensando che la loro diversità sia ricchezza. Ma gli ingiusti no.
Martini Forse lei ricorderà che sul tema dell'ingiustizia abbiamo molto discusso nel nostro precedente incontro.
Scalfari Lo ricordo benissimo. Io le domandai quali fossero i peccati più gravi e lei mi rispose che la precettistica della Chiesa enumera una serie di peccati numerosa. In realtà - mi disse e io l'ho trascritto fedelmente nell'articolo che feci dopo quel nostro incontro - il vero peccato del mondo è l'ingiustizia, dal quale gli altri discendono.

Martini Sì, lei ricorda bene, dissi così. Ma forse non approfondimmo abbastanza che cosa intendevo con la parola ingiustizia.

Scalfari Può spiegarlo adesso.

Martini Ebbene l'ingiustizia è la mancanza di amore, la mancanza di perdono, la mancanza di carità e il sentimento di vendetta.

Scalfari Lei mi disse anche che il sacramento della confessione e della penitenza, fondamentale per i cristiani, non è più vissuto e praticato come dovrebbe essere.

Martini La penitenza non è quella di recitare dieci "paternostri" ma scoprire la bellezza della carità e metterla in pratica.

Scalfari Mi ricorda il pentimento dell'Innominato del Manzoni nei Promessi sposi....

Martini La lotta contro l'egoismo è molto lunga.

Scalfari Ne deduco che il Creatore ha creato un mondo ingiusto.

Martini Il Creatore ha donato agli uomini la libertà. Essa può generare la solidarietà verso gli altri, ma anche l'egoismo, la sopraffazione, l'amore verso il potere. Ho letto il suo ultimo libro, lei parla di queste cose.
Scalfari Sì, anch'io penso che l'istinto d'amore pervada la vita delle persone ma abbia diverse dimensioni e direzioni. Lei lo chiama amore, io lo chiamo eros, lei chiama il bene carità ed io lo chiamo sopravvivenza della specie, cioè umanesimo. Mi sembra che con parole diverse diciamo la stessa cosa. Gesù, per quanto capisco, tentò il miracolo di cancellare l'amore per se stessi, ma quel miracolo non riuscì.

Martini Gesù non tentò di cancellare l'amore per se stessi, anzi lo mise come misura per l'amore degli altri.
Scalfari Io penso che la vita sia cominciata da un essere monocellulare e poi sia andata vertiginosamente avanti secondo l'evoluzione naturale. Noi abbiamo una mente riflessiva che ci consente di pensare noi stessi e di vedere le nostre azioni, ma nell'economia dell'Universo siamo un piccolo evento: così è nato il mondo e noi tutti e così scomparirà. A quel punto nessun'altra specie sarà in grado di pensare Dio e Dio morirà se nessun essere vivente sarà in grado di pensarlo. Noi non siamo una regola, noi siamo un caso, una specie creata dalla natura, come credo io, o da un dio trascendente come crede lei. Spinoza dice: Deus sive Natura, oppure anche Natura sive Deus. Lei sa che questa concezione della divinità, così intensa come lei ha, sconfina nell'immanenza? Una scintilla di Divinità sta dunque in tutte le creature viventi ed è appunto la vita.

Martini Lei mi domandò nel nostro precedente incontro che cosa io pensassi dell'affermazione del teologo Hans Küng che sostiene la fede verso la vita come la condizione preliminare e necessaria per arrivare alla fede in Dio. Lo ricorda?

Scalfari Sì, ricordo anche che lei era d'accordo con quell'affermazione.

Martini È vero e lo si vede osservando un bimbo appena nato il quale si affida nelle mani dei genitori totalmente. Anche lei è venuto qui nella fiducia che non avrebbe trovato nessuno con un fucile spianato. Questa è una forma primaria di fede.

Scalfari Chiaro. Lei ha detto in un suo scritto che è un errore affermare che Dio sia cattolico.

Martini Sì, l'ho detto. Dio è il Padre di tutte le genti, quindi apporgli l'aggettivo cattolico è limitante.

Scalfari Ammetterà tuttavia che il monoteismo cristiano è assai diverso da quello ebraico e anche da quello dell'islam. In quelle religioni la Trinità sarebbe considerata eresia inconciliabile con il Dio unico. In quelle religioni il Dio unico è innominabile e non raffigurabile, per i cristiani invece ha il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ed è stato dipinto e scolpito per millenni. La storia dell'arte occidentale è in gran parte la storia di Dio, del Figlio, della madre del Figlio, dei Santi. Si può dire che il cristianesimo è una religione monoteista? Oppure storicamente è una religione ellenistica?

Martini La Trinità è Dio-comunione. Il Figlio è la Persona con cui il Padre si manifesta agli uomini. Forse il modello "ontologico" con cui si è pensata la Trinità fino ad oggi dovrebbe cedere il passo al modello "relazionale" che aiuterebbe meglio anche il dialogo orizzontale. Quanto ai Santi, non sono solo intermediari tra noi e Dio ma anche testimoni del bene e forse la Chiesa ne ha canonizzati troppi.

Scalfari Dunque quando la nostra specie scomparirà e quando il giudizio universale sarà avvenuto il Figlio non avrà più ragion d'essere e lo Spirito santo neppure.

Martini Non esattamente, il Figlio sarà la beatitudine delle anime che vivranno nella luce.
Scalfari Senza memoria del sé terrestre che hanno abbandonato?
Martini Noi uomini non siamo in grado di sapere queste cose, di conoscere l'aldilà. Sappiamo però che Paolo dice che la Carità non avrà mai fine. Quindi supponiamo che riconosceremo ciò che abbiamo vissuto nell'amore.
Scalfari Dio è il padre di tutte le genti, ma la Chiesa ha fatto del Dio cattolico anche una bandiera d'identità, di guerra e di stragi.
Martini Quando ha fatto questo ha sbagliato. La Chiesa, come tutte le istituzioni terrene, contiene il bene ed il male ma è depositaria di una fede e di una carità molto grandi. Anche Pietro rinnegò.
Scalfari Forse è troppo istituzione.
Martini Forse è troppo istituzione.
Scalfari Forse è troppo dogmatica.
Martini Direi in un altro modo: l'aspetto collegiale della Chiesa è stato troppo trascurato. Secondo me questo punto andrebbe profondamente rivisto.

La conversazione dura ormai da oltre un'ora. Guardo don Damiano in modo interrogativo e lui mi fa di sì con la testa. Dico al cardinale che è arrivata l'ora di congedarmi. "Ma le faccio un'ultima domanda: che cosa pensa dei fatti politici italiani di questi ultimi mesi? La Chiesa, dopo un silenzio troppo lungo, mescolato con alleanze oltremodo discutibili, ha infine chiesto con il cardinale Bagnasco che venisse ripulito il fango che ha imbrattato l'etica pubblica. È d'accordo con questa posizione?".

Martini Sono d'accordo. In Italia esiste una cattolicità avvertita e consapevole e ci sono anticorpi preziosi che alla fine si manifestano contribuendo a recuperare il bene anche nella sfera dove si amministra il potere.

Mi alzo. Anche lui si alza aiutato da don Damiano. Ci abbracciamo. Lui mormora qualcosa e don Damiano traduce: "Ha detto che prega spesso per lei". Io rivolgendomi a lui gli dico: "Io la penso molto spesso, è il mio modo di pregare". Lui si avvicina al mio orecchio e con un filo di voce dice: "Prego per lei, e anch'io la penso spesso", sorride e mi stringe la mano. Forse voleva dire che pensare l'altro è più che pregare. Io almeno ho capito così.

sabato 24 dicembre 2011

Auguri democratici













Sotto l'albero noi democratici sardi troviamo una letterina di alcuni consiglieri regionali al segretario nazionale Bersani con la quale si chiede di intervenire per fare in modo che venga convocato un congresso che sancisca una nuova guida per il partito poichè l'attuale risulterebbe oramai obsoleta e superata per via di un presunto cambio di maggioranza in corsa di cui si sarebbe macchiato il se...gretario Lai, e disconoscendo altresì la Conferenza Programmatica in corso di svolgimento.
Ancora,troviamo le dimissioni di Milia dalla presidenza della Provincia di Cagliari a seguito di una sentenza penale che,di fatto,lo fa decadere dalla carica finora ricoperta.
Come dire,uno stillicidio di notizie davvero poco gradevoli per scambiarci gli auguri.
Mi viene da dire,con riferimento alla lettera in questione, ci risiamo,o anche,solito copione...Eh si,perchè evidentemente questo partito non riesce ad essere definitivamente tale e probabilmente,visto anche il capello della missiva che paventa abbandoni importanti e pesanti in caso di non accoglimento delle richieste,non lo diventerà mai.
Allora mi chiedo anch'io da democratico convinto,ma come è possibile andare avanti così, queste prese di posizione alla lunga indeboliscono il partito,sviliscono il senso di appartenenza e alimentano pericolosi e irreversibili sentimenti di qualunquismo anche tra i nostri militanti che,è bene sempre ricordarlo,tengono al PD perchè considerato il luogo ideale dove trovano perfetta cittadinanza le proprie idee,i propri sogni,le proprie passioni,i propri desideri più o meno realizzabili.
Buon Natale a tutti voi,care democratiche e cari democratici!

Buon Natale















Mi stavo chiedendo in questi giorni che tipo di riflessione potevo immaginare di imbastire sul significato del Natale, che valore ha oggi questa festa di fronte alle stortura della politica, alla crisi economica, alle violenze quotidiane, fisiche e psicologiche che i giornali rilanciano in un clima di complessiva angoscia. Oggi il Natale,anche per via di una evidente crisi di valori,rischia di perdere il suo senso originario. Anche molti credenti vivono in questo giorno una qualche forma di liturgia profana.
Benché il Natale sia una splendida manifestazione della gloria di Dio in Cristo e del suo amore per noi, i discorsi che si fanno a partire dal Natale sanno spesso di buonismo e di speranza a buon mercato. Essi sono un segno di poca lealtà con se stessi e con gli altri. Infatti diciamo delle cose che non sono vere e a cui nessuno crede. Ci auguriamo a vicenda lunga vita, felicità, successo, ci facciamo doni che vogliono dire l' affetto che ci portiamo, ma per lo più sappiamo che non è così. Molti uomini e donne attendono in questo giorno qualcosa, un evento o magari una persona che li tiri su, che restituisca loro l' ottimismo ingenuo che hanno irrevocabilmente perduto; qualcosa di nuovo e di grande, che potrebbe farli tornare indietro. Ma questa speranza è fallace, perché si basa solo sulle nostre forze e dimentica lo Spirito di Dio, il solo capace di aiutarci in maniera efficace. Dopo i giorni delle feste tutto ritorna più o meno come prima. È come un dirsi reciprocamente «ce la faremo», pur sapendo tutti che non è vero. Per vivere bene il Natale e ricavarne quel conforto che è giusto attendersi da questa festa, è necessario sforzarsi di capire ciò che viene detto nei Vangeli. In essi, soprattutto nel Vangelo secondo Luca, emerge un progetto di uomo che vive il dono di Dio nella meraviglia, nella gratitudine e nel distacco. Questo uomo nuovo può essere o un semplice come i pastori o uno studioso come i Magi. Tutti sono chiamati a partecipare all' esperienza dei pastori a cui fu detto: «Vi annunzio una grande gioia» (Lc 2,10). Chi partecipa di questa gioia, si difenderà da quel pericolo che è il Natale del consumismo, che ci impone di non sfigurare davanti ad amici e parenti con costosi regali. Pur avendo la coscienza che molte famiglie fanno fatica a far quadrare il bilancio del mese, si continua a spendere denaro pubblico e privato nella maniera più folle. Si tratta di una gioia semplice, intima, che può convivere anche con momenti di sofferenza e di strazio. Il bambino Gesù è l' immagine di questa fiducia e abbandono alla Provvidenza. Qui va ricordata la parola di Gesù: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Se noi riusciamo ad affidarci alla Provvidenza di Dio, accettiamo ogni cosa con fiducia, perché fa parte del disegno del Padre. Il Natale guarda alla Pasqua e il presepio contiene allusioni alla morte e risurrezione di Gesù. Esse erano presenti nella riflessione dei Padri. Così, ad esempio, il tema del legno della croce veniva ricordato dalla culla di legno in cui giace Gesù. Le pecore offerte dai pastori ricordano l' agnello immolato. Anche la Madre che si curva sul Figlio ci richiama alla pietà di Maria che tiene tra le braccia il Figlio morto."L' Altissimo viene tra i piccoli, si china sui poveri e salva". Dunque, il senso del Natale ci riporta al centro della nostra redenzione e ci procura una gioia che non avrà mai fine. Un simile atteggiamento positivo può convivere anche con grandi dolori e penosi distacchi. Questi sentimenti di dolore sono i segni di grandi ferite, che si riaprono soprattutto in questi giorni. Quando si vede a tavola un posto vuoto, riemerge il mistero del Crocefisso con le sue piaghe.












Mi viene in mente in questo momento Rossella Urru,la cooperante mia corregionale e anche mia vicina di casa,visto che i nostri rispettivi paesi non sono certo lontani,rapita due mesi fa in Algeria e non ancora liberata.Una ragazza così giovane che appena laureata lascia l'opulenza,le certezze e gli affetti più cari per dedicarsi totalmente a un progetto di solidarietà verso un popolo "bisognoso",e quindi agli "ultimi" come dice il Vangelo,beh,anche questa angosciosa vicenda dovrebbe davvero farci riflettere sul vero valore del Natale.
Sarebbe straordinario,per tutti noi e soprattutto per i genitori,i fratelli,gli amici, se magari nella notte della Vigilia arrivasse la notizia tanto attesa.
Un segno importante di questa "Grande Festa" è rappresentato dal fatto che il presepio viene contemplato anche da non credenti e da atei. Questo fascino deriva dall' atmosfera profondamente umana che in esso si respira. Una umanità che sa guardare anche al lato invisibile della realtà e si compendia nella preghiera «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama».

Buon Natale a tutti!

giovedì 22 dicembre 2011

La recita natalizia di Enrica

Assistere "alla prima" di nostra figlia Enrica in versione recita scolastica-natalizia non ha prezzo:un mix straordinario di gioia,emozione,commozione.
Grazie Amore!

mercoledì 14 dicembre 2011

Il Pd sardo e le deroghe













Leggo su "L'Unione Sarda" di oggi,nell'articolo a firma di Giuseppe Meloni,che il PD sardo nella direzione di lunedì ha giustamente discusso di regolamento di primarie sia per il parlamento che per la regione.Si parla altresì di un "lodo-Lai" che prevederebbe un 20% di consiglieri regionali uscenti che potrebbero godere di una sorta di deroga della direzione regionale del partito per la terza cand...idatura,rispetto allo statuto regionale che sancirebbe si un tetto di tre legislature sulla base di una norma approvata con un ordine del giorno che prevedeva appunto una valutazione della direzione regionale per la terza legislatura.
Ora,mi chiedo,ma come possiamo davvero risultare credibili se passasse questa disposizione,visto che nel 2009,a torto o a ragione,non ci furono deroghe per chi aveva due legislature.Altrimenti,e concordo totalmente con quanto dice Giacomo Spissu,ci sarebbe da pensare che allora si volesse colpire qualcuno.
Dico,due legislature senza deroga alcuna,per chiunque!

lunedì 12 dicembre 2011

La Democrazia senza i partiti













Sottoscrivo alla virgola questo straordinario fondo di Zagrebelsky pubblicato oggi su "Repubblica".
Io sono un democratico che non apprezza questo governo di tecnici e che soprattutto è profondamente deluso dal mio partito nella gestione del post-berlusconi,specie nella decisione unanime di "consegnare" il governo del Paese a chi non si è presentato al giudizio degli elettori per ottenere il consenso a governare.Ecco,leggo e rileggo questo bellissimo commento e vi scorgo,per quanto mi riguarda, la chiave di lettura secondo la quale il Pd ha smesso,non so per quanto(speriamo per poco),di fare politica secondo il dettato dell'art.49 della Costituzione.E mi duole molto,specie in queste giornate convulse precedenti all'approvazione di questa drammatica manovra da parte del parlamento,dove l'iniquità la fa da padrona.
Come non condividere che "in qualunque democrazia, i partiti hanno il compito di raccogliere le istanze sociali e trasformarle in proposte politiche.Si i partiti sono "dei trasformatori di bisogni in politica",così come è stravero che "la dialettica tra governo e società non trova oggi in Italia la necessaria mediazione dei partiti,di cui la democrazia ha necessità vitale".

E allora dico al mio partito,se ci sei davvero batti un colpo!


Gustavo Zagrebelsky


Ma, quando tutto questo sarà finito, che cosa sarà della politica e delle sue istituzioni? Diremo che è stata una parentesi oppure una rivelazione? Parentesi che, come si è aperta, così si chiude ridando voce al discorso di prima; oppure rivelazione di qualcosa di nuovo, sorto dalle macerie del vecchio?
Queste domande devono apparire insensate a coloro che pensano o sostengono che nulla di rilevante sia accaduto e che tutto, in fondo, sarà come prima, così forse credendo di meglio contrastare la tesi estremistica di coloro che, per loro irresponsabili intenti, hanno gridato allo scandalo costituzionale, al colpo o colpetto di stato. In effetti, chi potrebbe dire che la Costituzione è stata violata?
La scelta del presidente del Consiglio è stata fatta dal presidente della Repubblica; il presidente del Consiglio ha proposto al presidente della Repubblica la lista dei ministri e questi li ha nominati; il governo si è presentato alle Camere e ha ottenuto la fiducia; leggi e decreti del governo dovranno passare all´approvazione del Parlamento. Non c´è che dire: tutto in regola. Dovrebbero essere soddisfatti perfino coloro i quali pensano che la legge elettorale abbia sterilizzando poteri e possibilità del presidente della Repubblica.Come il potere di ricercare in Parlamento eventuali maggioranze diverse da quella venuta dalle elezioni. Per costoro, in caso di crisi, si dovrebbe necessariamente, sempre e comunque, ritornare a votare. Quella che si è formata per sostenere il nuovo governo, infatti, non è una maggioranza alternativa alla precedente; è – di fatto – la stessa, soltanto allargata a forze di opposizione chiamate a condividerne le responsabilità. Abbiamo girato pagina quanto alle persone al governo – il che non è poco – ma non abbiamo affatto rotto la continuità politica, come del resto il presidente del Consiglio, con atti e parole, continuamente, tiene a precisare. Onde potrebbe dirsi: prosecuzione della vecchia politica con altra competenza e rispettabilità. Nelle presenti condizioni politiche parlamentari, del resto, non potrebbe essere altrimenti.
Per quanto riguarda la legalità costituzionale di quanto accaduto, nulla dunque da eccepire. Semplicemente, il presidente della Repubblica ha fatto un uso delle sue prerogative che è valso a colmare il deficit d´iniziativa e di responsabilità di forze politiche palesemente paralizzate dalle loro contraddizioni, di fronte all´incombere di un rischio-fallimento, al tempo stesso, economico e finanziario, sociale e politico, unanimemente riconosciuto nella sua gravità e impellenza. Fine, su questo punto.
È invece sulla sostanza costituzionale, sotto il profilo della democrazia, che occorre aprire una discussione. È qui che ci si deve chiedere che cosa troveremo alla fine (perché, prima o poi, tutto è destinato a finire e qualcos´altro incomincia).
Di fronte alla pressione della questione finanziaria e alle misure necessarie per fronteggiarla, i partiti politici hanno semplicemente alzato bandiera bianca, riconoscendo la propria impotenza, e si sono messi da parte. Nessun partito, nessuno schieramento di partiti, nessun leader politico, è stato nelle condizioni di parlare ai cittadini così: questo è il programma, queste le misure e questi i costi da pagare per il risanamento o, addirittura, per la salvezza, e siamo disposti ad assumere le responsabilità conseguenti. Né la maggioranza precedente, che proprio di fronte alle difficoltà, si andava sfaldando; né l´opposizione, che era sfaldata da prima. Niente di niente e, in questo niente, il ricorso al salvagente offerto dal presidente della Repubblica con la sua iniziativa per un governo fuori dai partiti è evidentemente apparsa l´unica via d´uscita. Insomma, comunque la si rigiri, è evidente la bancarotta, anzi l´autodichiarazione di bancarotta.
Di fronte a grandi problemi, ci si aspetterebbe una grande “classe dirigente”, che cogliesse l´occasione propizia per mostrarsi capace d´iniziativa politica. Sennò: dirigente di che cosa?
Si dirà: e il governo, pur piovuto dal cielo, è tuttavia sostenuto dai partiti; anzi, il sostegno non è mai stato, nella storia della Repubblica, così largo; i partiti, quale più quale meno, per senso di responsabilità o per impossibilità di fare diversamente, alla fin fine, si mostrano in questo modo all´altezza della situazione. Sì e no. Sì, perché voteranno; no, perché il voto non è un sostegno e un coinvolgimento nelle scelte del governo ma è, piuttosto, una reciproca sopportazione in stato di necessità. Il governo, timoroso d´essere intralciato dai partiti; i partiti, timorosi di compromettersi col governo. Il presidente del Consiglio ha onestamente riconosciuto che i partiti, meno si fanno sentire, meglio è: votino le proposte del governo e basta. I partiti, a loro volta, sono in un´evidente contraddizione: devono ma non possono. Avvertono di dover votare ma, al tempo stesso, avvertono anche che non possono farlo impunemente. Gli stessi emendamenti di cui si discute in questi giorni sembrano più che altro dei conati: per usare il linguaggio corrente, non un “metterci la faccia”, ma un cercare di “salvarsi la faccia”.
In questa delicata situazione, i partiti devono esserci ma vorrebbero non esserci. Per questo, meno si fanno vedere, meglio è. I contatti, quando ci sono, avvengono dalla porta di servizio. Alla fine, si arriverà, con il sollievo di tutti, a un paradossale voto di fiducia che, strozzando il dibattito parlamentare, imporrà l´approvazione a scatola chiusa e permetterà di dire al proprio elettorato: non avrei voluto, ma sono stato costretto.
Ma c´è dell´altro. In un momento drammatico come questo, con il malessere sociale che cresce e dilaga, con la società che si divide tra chi può sempre di più, chi può ancora e chi non può più, con il bisogno di protezione dei deboli esposti a quella che avvertono come grande ingiustizia: proprio in questo momento i partiti sono come evaporati. Corrono il rischio che si finisca, per la loro stessa ammissione, per considerarli cose superflue, d´altri tempi. In qualunque democrazia, i partiti hanno il compito di raccogliere le istanze sociali e trasformarle in proposte politiche, per “concorrere con metodo democratico alla politica nazionale”, come dice l´articolo 49 della Costituzione: sono dunque dei trasformatori di bisogni in politiche. Una volta svolto questo compito di unificazione secondo disegni generali, ne hanno un secondo, altrettanto importante: di tenere insieme la società, per la parte che ciascuno rappresenta, nel sostegno alla realizzazione dell´indirizzo politico, se fanno parte della maggioranza, e nell´opporsi, se non ne fanno parte. Un duplice compito di strutturazione democratica, in assenza del quale si genera un vuoto, una pericolosa situazione di anomia, cioè di disordine politico, nel quale il governo si trova a dover fare i conti direttamente col disfacimento particolaristico, corporativo ed egoistico dei gruppi sociali, inevitabilmente privilegiando i più forti a danno dei più deboli. La dialettica tra governo e società non trova oggi in Italia la necessaria mediazione dei partiti. Di questa, invece, la democrazia, in qualsiasi sua forma, ha necessità vitale.
Gli storici avrebbero molto da dirci sulla miscela perversa di crisi sociale e alienazione politica, cioè sulla rottura del nesso che i partiti devono creare tra società e Stato. Non che la storia sia il prodotto di leggi ineluttabili, ma certo fornisce numerosi esempi, nemmeno tanto lontani nel tempo: nel nostro caso, esempi – che sono ammonimenti – del disastro che si produce quando le forze della rappresentanza politica e sociale si ritirano a favore di soluzioni tecnocratiche, apparentemente neutrali, né di destra né di sinistra, al di sopra delle parti. Può essere che in queste considerazioni ci sia una piega di pessimismo, ma vale l´ammonimento: non tutti gli ottimisti sono sciocchi, ma tutti gli sciocchi sono ottimisti.
E allora? Allora, il rischio è che, “quando tutto questo sarà finito” ci si ritrovi nel vuoto di rappresentanza. Una certa destra nel vuoto si muove molto bene, per mezzo di qualche facilissima trovata demagogica. Il vuoto, invece, a sinistra ha bisogno di ben altro, cioè di partecipazione e di fiducia da riallacciare tra cittadini, e tra cittadini e quelle istituzioni che esistono per organizzare politicamente i loro ideali e interessi. Questo – altro che sparire, arrendendosi alle difficoltà – è il compito che attende i partiti che stanno da quella parte, un compito che ha bisogno di idee e programmi, strutture politiche rinnovate e trasparenti, uomini e donne di cui ci si possa fidare. Non di salvatori che “scendono in campo”, ma di seri lavoratori della politica, degni del rispetto dei cittadini di cui si propongono come rappresentanti.

La Sardegna riparte dai piccoli Comuni.Il senso di una iniziativa.


Venerdì 16 Dicembre Ales-Sala Convegni Unione dei Comuni ore 16,30


di Roberto Scema



Ci sono modi e modi di parlare di piccoli Comuni.

C'è chi ne parla in chiave ragionieristica, stigmatizzando il "costo" finanziario degli Enti rapportato alla popolazione.

C'è chi ne parla in maniera melodrammatica, imprecando contro il destino cinico e baro che, sotto svariate forme, lavora per cancellarli o ridurli ad entità simboliche.

C'è chi ne parla come delle riserve indiane, dove tenere gli indigeni da mostrare ai turisti in cerca di un esotico che sa di selvaggio e primordiale.

E c'è chi invece ritiene che i Piccoli Comuni possono rappresentare per la Sardegna dei prossimi anni, un formidabile volano di sviluppo, attraverso politiche accorte, capaci di guardare un po' più in là del contingente.

L'avvio della Conferenza Programmatica a Baradili ha dimostrato che questa è oramai una convinzione che è patrimonio comune dei Democratici sardi.

Certo, è una convinzione che va adeguatamente declinata e riempita di contenuti.

E ci sono tante, tante persone, amministratori locali e semplici cittadini, che vogliono contribuire a farlo.

Questo il senso del nostro appuntamento del 16 dicembre, ad Ales, dalle 16.30, presso la sede della Unione dei Comuni, insieme a Gianni Sanna, Emiliano Deiana, Antonio Solinas, Caterina Pes e Renato Soru, e a tanti amministratori locali.

Il contributo del Pd oristanese alla Conferenza Programmatica.

Per uscire dagli slogan ed entrare nella Sardegna del futuro.

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venerdì 2 dicembre 2011

Il ruolo del PD nella crisi italiana












Sono giorni difficilissimi per il nostro Paese e,penso,anche per il mio partito,il Pd.Lunedì verosimilmente conosceremo le prime pesanti misure del governo Monti per cercare di rimettere in piedi la drammatica situazione economico-sociale della nostra cara Italia.Immagino che,al di la di quanto racconta la stampa,la tv,internet e i vari social network,la discussione e soprattutto le fibrillazioni anche nel Pd, riguardo a queste misure,siano molto accese e marcate.Si racconta di un'anima liberale e una più sociale che si starebbero confrontando molto animatamente sulle misure che dovranno poi essere votate dal parlamento.Ma che c'è di strano o di male?
Personalmente non sono totalmente d'accordo con Casini quando dice, a proposito di queste discussioni nei partiti azionisti del governo Monti sulle linee finanziarie che dovranno essere varate dal governo nei prossimi giorni, che il Premier in queste ore non deve essere tirato per la giacca dai vari segretari perchè gli stessi partiti conferendoli una maggioranza bulgara in parlamento gli hanno trasferito una delega molto ampia e "autonoma".
Ho capito,ma non tutti i partiti,specie in questi momenti così difficili per i senza lavoro, per le famiglie,per i giovani,per i pensionati,per i precari,riescono ad esprimere la stessa sensibilità soprattutto per le fasce sociali succitate.
Io credo che il Pd appunto,per sua natura, non possa esimersi dal confrontarsi al suo interno in maniera serrata su quesi temi,arrivando poi a una giusta sintesi che poi possa essere "suggerita" a Monti.
Nei giorni scorsi c'è stata questa inutile polemica all'interno del Pd,sulle misure economiche da adottare anche alla luce della famosa lettera della Bce,tra i cosidetti liberal e Fassina,responsabile economico del partito.
Francamente non so,ne da democratico mi interessa saperlo,a che area faccia riferimento Fassina all'interno del Pd,così come non mi interessa conoscere quanti siano questi liberal che ne hanno chiesto le dimissioni.
Tuttavia io mi riconosco nelle posizioni del responsabile economico quando dice che non si può far pagare questa crisi alle solite categorie più deboli.
Ad onor del vero non condivido però nemmeno la risposta di Fassina ad Ichino,sempre su questa polemica, dicendo che le posizioni di quest'ultimo in materia rappresenterebbero il 2% mentre la sua abbraccerebbe il restante 98%.
Un partito come il Pd,specie in questa terribile congiuntura, ha bisogno del contributo di quanti hanno davvero ricette importanti da mettere a disposizione del Paese.E francamente ne abbiamo.
Non è esatto dire,come fa oggi Maltese sul "Venerdì di Repubblica" che il Pd dice poche cose di sinistra,e tuttavia è indubbio che quando,come ha fatto Fassina,si fanno certe considerazioni, che certamente sono di sinistra,non possono non essere condivise dall'intero partito.
Credo che la prima inderogabile linea-guida del Pd e di un partito di sinistra debba essere quella di tutelare i più deboli,gli ultimi,proprio quelli che in questa situazione ovviamente soffrono più di tutti.
Il Pd deve essere il partito che lavora senza soluzione di continuità, e a maggior ragione in questo momento, per eliminare le disuguaglianze,specie quelle più eclattanti e ingiustificabili.
Questo fa parte del Dna dei democratici.



Che dibattito,nel PD,se qualcuno dice qualcosa di sinistra...
da "Contromano" di Curzio Maltese.



Per aver detto un paio di cose di sinistra,l'economista Stefano Fassina ha subito una specie di processo interno nel Pd,nel quale i cosidetti liberal hanno chiesto le sue dimissioni dal ruolo di responsabile economico del partito.Il segretario Bersani ha replicato:"Questa non l'ho proprio capita".
Non l'abbiamo capita nemmeno noi.
La colpa di Fassina sarebbe d'aver ripetuto cose che ormai dicono anche Mario Draghi o i vescovi italiani.E cioè che non si può far pagare anche questa crisi alle solite tre categorie,giovani,pensionati,lavoratori dipendenti.Per i giovani italiani ormai bisognerebbe chiamare in causa Amnesty International.Sono pochissimi,sfruttati,precari o disoccupati,con un potere d'acquisto dimezzato rispetto ai coetanei delle altre grandi potenze industriali.Dovrebbero essere ancora più flessibili?Ma di più flessibili esistono soltanto gli schiavi.Lo stesso discorso,più o meno,vale per i lavoratori dipendenti e i pensionati.Una volta per tutte poi bisognerà chiarire che l'Italia non è un Paese di sprechi perchè le pensioni e i salari sono troppo alti,il che è una bella idiozia,e tantomeno perchè s'investono troppi soldi sulle politiche giovanili,quasi inesistenti.Gli sprechi italiani stanno altrove,nell'evasione fiscale da 150 miliardi e nella corruzione da 70 miliardi l'anno.Quì bisogna intervenire con la scure.
Queste cose non sono nemmeno di sinistra,sono semplicemente di buon senso.Ma la sinistra italiana sembra aver smarrito pure quello.Una delle geniali vignette di Altan recita:"Bisogna rispettare chi la pensa diversamente da noi"."Si,ma noi che pensiamo?".Ora è venuto il momento di chiedersi che cosa pensa la sinistra italiana,se pure pensa qualcosa.
Trent'anni di politiche liberiste hanno condotto le società occidentali,in particolare le europee e più di tutte l'italiana,a un passo dal baratro e dal fallimento.Si può andare avanti su questa strada?Si può accettare a scatola chiusa la lettera della Bce e farne un vangelo economico?
Se la risposta è si,alloranon serve una sinistra in Italia.
Bastano e avanzano Fini e Casini,una destra più civile e meno autoritaria di quella berlusconiana,ma pur sempre destra.Altrimenti forse bisogna farsi venire qualche idea nuova,che non sia scippare qualche altro euro ai pensionati,agli operai e agli impiegati,oppure costringere tutti i giovani italiani a mettersi in fila all'ufficio di collocamento per uno stipendio inferiore ai mille euro al mese.Se poi i liberal la pensano in altro modo,forse sarebbe meglio chiedere a loro le dimissioni.Alla fine,non è che inseguire la destra in ogni follia di questi anni abbia portato tutti questi voti alla sinistra.