giovedì 29 dicembre 2011

Buon Anno














Per voi, amici miei, i miei migliori auguri per l’anno che sta per aver inizio. Con la convinzione che anche questo nuovo anno sarà, in fondo, come noi lo faremo. Perché, se è vero che non possiamo scegliere quello che le stelle, il fato, la fortuna ci porteranno, possiamo comunque scegliere con che occhi guardare a ciò che viene e con che atteggiamento affrontarlo. Allora vi auguro di saper riconoscere e cogliere tutte le opportunità che incontrerete per strada; vi auguro di non scoraggiarvi di fronte alle difficoltà ma di sapervi trovare piuttosto motivo e mezzo per cambiare e crescere; vi auguro un animo lieto e puro e attento per stupirvi di nulla e essere felici delle piccole gioie quotidiane che spesso trascuriamo. Vi auguro di avere sempre la forza di riprovarci, di non abbattervi, di rialzarvi con rinnovato entuasiasmo… perché, in fondo, nulla ci vieta di pensare che le cose migliori sono quelle che vivremo domani, o domani l’altro… Vi auguro di leggere, ascoltare musica e trovare sempre tempo per le passioni che colorano la vostra vita. Vi auguro di non smettere mai e mai di credere in voi stessi e nelle cose che sapete e potete fare… e che tutto questo vi porti, dunque, un anno ricolmo di gradite sorprese, appagamento, serenità, amici, affetto, amore, calore e attimi di pura felicità. E ancora di tutte quelle cose capaci di riempire di senso la vostra vita.

Buon anno dal cuore!

mercoledì 28 dicembre 2011

Un'altro piacevole confronto tra un non-credente e un eminente cardinale

IL DIALOGO

Il senso della vita nelle parole di Gesù


Eugenio Scalfari e il cardinale Martini ragionano sui nodi che stringono fede ed esistenza terrena. Due punti di vista partiti da premesse diverse cercano nella giustizia nella carità e nel perdono una prospettiva comune
di EUGENIO SCALFARI









"Amor sacro e Amor profano" di Tiziano (1515, alla Galleria Borghese di Roma)




IN FONDO ad un lungo corridoio una porta a vetri si apre su una piccola stanza dove scorre il tempo di Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, biblista, pastore di anime e di coscienze, cardinale di Santa Romana Chiesa. Siede su una poltrona accanto ad una finestra dalla quale si vedono un pezzo di cielo e un cipresso.

Accanto a lui c'è il suo assistente, don Damiano, che è quasi la sua ombra, lo aiuta a muoversi, gli somministra le medicine alle ore stabilite, lo accompagna nei suoi spostamenti ormai rari. Non è frequente che un gesuita diventi cardinale e ancor meno frequente che sia stato alla guida della diocesi più importante d'Europa, ma Martini è un'eccezione per tante cose ed anche per la sua carriera ecclesiastica.

A me è capitato di vedere molto da vicino i gesuiti in una fase particolare della mia vita: avevo vent'anni, era il 1944, Roma era occupata dai nazisti; i giovani di leva e gli ebrei erano ricercati dalle SS, la polizia militare del Reich, ed io trovai rifugio insieme ad un centinaio di altri giovani nella Casa del Sacro Cuore dove i gesuiti gestivano i cosiddetti "esercizi spirituali". Duravano al massimo una settimana, ma nel nostro caso durarono più d'un mese. La Casa era extra-territoriale, con bandiera del Vaticano alla finestra e guardie palatine al portone.

Poiché, come ci disse il padre rettore, i gesuiti non dicono bugie, gli esercizi spirituali dovemmo farli in piena regola sebbene tra di noi ci fossero molti ebrei e alcuni non credenti.

Per me fu una preziosa esperienza anche perché il rettore era padre Lombardi, un prete di notevole personalità e grande finezza intellettuale cui in seguito fu dato il soprannome di "microfono di Dio" per le sue attività che a dire il vero erano più politiche che pastorali.

I gesuiti che conobbi in quell'occasione e che guidavano le "meditazioni", celebravano la messa e le altre funzioni religiose che costellavano la nostra giornata, li osservai con molta attenzione; il rettore, quando ci separammo, mi propose addirittura di iscrivermi all'Università Gregoriana, eravamo entrati in confidenza ed anche in polemica durante una serie di dibattiti su Sant'Agostino e su San Tommaso.

Ricordo queste vicende personali per dire che i gesuiti che conobbi allora non somigliavano in nulla a Carlo Maria Martini. Erano molto accoglienti e amichevoli, ma piuttosto arcaici nel loro modo di considerare la religione; Martini invece è pienamente coinvolto nella modernità di pensiero. Quanto all'intensità della fede, non sta certo a me misurarla; dico solo che la fede di Martini ti fa pensare perché emerge dal suo profondo; quella che si respirava al Sacro Cuore aveva invece un sentore di sacrestia piuttosto sgradevole per chi come me la fede non ce l'ha e neppure sente il bisogno di cercarla.

Vi domanderete allora quale sia la ragione per la quale io frequenti Martini e lui accetti di buon grado questa frequentazione. La mia risposta è che siamo sulla stessa lunghezza d'onda, ci sentiamo in sintonia l'uno con l'altro e il motivo probabilmente è questo: ci poniamo tutti e due le stesse domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sembrano essere diventante un luogo comune queste domande e forse lo sono, ma continuano a costituire la base d'ogni filosofia e d'ogni conoscenza. Le nostre risposte spesso differiscono ma talvolta coincidono e quando questo avviene per me è una festa e spero anche per lui.

Il nostro di oggi è il quarto incontro che ho avuto con lui; è il 6 dicembre, fuori piove, siamo nella casa di riposo della Compagnia di Gesù a Gallarate in un edificio che fu donato alla Compagnia una cinquantina d'anni fa dalla famiglia Bassetti. Gli incontri precedenti sono avvenuti nel 2009 e nel 2010, ma il primo fu un dibattito che avvenne a Roma alla fine degli anni Ottanta a palazzo della Cancelleria, organizzato da don Vincenzo Paglia, della comunità di Sant'Egidio.

Il cardinale è ammalato di Parkinson, è lucidissimo, ma cammina con difficoltà. Da qualche tempo il male gli ha molto affievolito la voce che è diventata quasi un soffio, ma don Damiano ha imparato a leggere dal movimento delle sue labbra le parole senza voce e le traduce per renderle comprensibili.

Il nostro colloquio qui trascritto è stato rivisto dal cardinale: le difficoltà della comunicazione rendevano necessario il suo "imprimatur".

Scalfari Vorrei cominciare il nostro dialogo da un nome e dalla persona che lo portava: Gesù. Per me quella persona è un uomo nato a Betlemme, dove i suoi genitori Giuseppe e Maria che vivevano a Nazareth si trovavano occasionalmente il giorno e la notte del parto. Per lei, eminenza, quel bambino è il figlio di Dio. Sembrerebbe che la differenza tra noi su questo punto sia dunque incolmabile. Eppure è proprio quel nome che ci unisce. Lei lo chiama Gesù Cristo, io lo chiamo Gesù di Nazareth; per lei è Dio che si è incarnato nel Figlio, per me è un uomo che è creduto essere il Figlio e in quella convinzione ha vissuto gli ultimi tre anni della sua vita, gli anni della predicazione e poi della "passione" e del sacrificio. Ma la predicazione è appunto quel tratto della sua vita che ci unisce. Ho pensato molto all'incontro di due persone già avanti negli anni che vengono da educazioni, culture e percorsi di vita così diversi che sono desiderosi di conoscersi sempre più e sempre meglio. Ha un senso tutto questo? Qualche volta penso che lei speri di convertirmi, di farmi trovare la fede. Questo rientrerebbe nei suoi compiti di padre di anime. È questo che lei si propone?

Martini No, non penso di convertirla anche se non possiamo escludere né io né lei che ad un certo punto della sua vita la luce della fede possa illuminarla. Ma questa è un'eventualità che riguarda solo lei. Lei cerca il senso della vita. Lo cerco anch'io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede. È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può riconquistare. Il dubbio fa parte della nostra umana condizione, saremmo angeli e non uomini se avessimo fugato per sempre il dubbio. Quelli che non si cimentano con questo rovello hanno una fede poco intensa, la mettono spesso da parte e non ne vivono l'essenza.

La fede intensa non lascia questo spazio grigio e vuoto. La fede intensa è una passione, è gioia, è amore per gli altri ed anche per se stessi, per la propria individualità al servizio del Signore. Il Vangelo dice: ama il tuo prossimo come ami te stesso. Non c'è in questo messaggio la negazione dell'amore anche per sé, l'amore - se è vera passione - opera in tutte le direzioni, è trasversale, è allo stesso tempo verticale verso Dio e orizzontale verso gli altri. L'amore per gli altri contiene già l'amore verso Dio. Lei ama gli altri?

Scalfari Non sempre, non del tutto. Mentirei se dicessi che amo gli altri con passione come amo alcune persone a me vicine e mentirei se dicessi che l'odio è un sentimento a me ignoto. Detesto l'ingiustizia e odio gli ingiusti. I diversi da me li tollero e in qualche caso li amo pensando che la loro diversità sia ricchezza. Ma gli ingiusti no.
Martini Forse lei ricorderà che sul tema dell'ingiustizia abbiamo molto discusso nel nostro precedente incontro.
Scalfari Lo ricordo benissimo. Io le domandai quali fossero i peccati più gravi e lei mi rispose che la precettistica della Chiesa enumera una serie di peccati numerosa. In realtà - mi disse e io l'ho trascritto fedelmente nell'articolo che feci dopo quel nostro incontro - il vero peccato del mondo è l'ingiustizia, dal quale gli altri discendono.

Martini Sì, lei ricorda bene, dissi così. Ma forse non approfondimmo abbastanza che cosa intendevo con la parola ingiustizia.

Scalfari Può spiegarlo adesso.

Martini Ebbene l'ingiustizia è la mancanza di amore, la mancanza di perdono, la mancanza di carità e il sentimento di vendetta.

Scalfari Lei mi disse anche che il sacramento della confessione e della penitenza, fondamentale per i cristiani, non è più vissuto e praticato come dovrebbe essere.

Martini La penitenza non è quella di recitare dieci "paternostri" ma scoprire la bellezza della carità e metterla in pratica.

Scalfari Mi ricorda il pentimento dell'Innominato del Manzoni nei Promessi sposi....

Martini La lotta contro l'egoismo è molto lunga.

Scalfari Ne deduco che il Creatore ha creato un mondo ingiusto.

Martini Il Creatore ha donato agli uomini la libertà. Essa può generare la solidarietà verso gli altri, ma anche l'egoismo, la sopraffazione, l'amore verso il potere. Ho letto il suo ultimo libro, lei parla di queste cose.
Scalfari Sì, anch'io penso che l'istinto d'amore pervada la vita delle persone ma abbia diverse dimensioni e direzioni. Lei lo chiama amore, io lo chiamo eros, lei chiama il bene carità ed io lo chiamo sopravvivenza della specie, cioè umanesimo. Mi sembra che con parole diverse diciamo la stessa cosa. Gesù, per quanto capisco, tentò il miracolo di cancellare l'amore per se stessi, ma quel miracolo non riuscì.

Martini Gesù non tentò di cancellare l'amore per se stessi, anzi lo mise come misura per l'amore degli altri.
Scalfari Io penso che la vita sia cominciata da un essere monocellulare e poi sia andata vertiginosamente avanti secondo l'evoluzione naturale. Noi abbiamo una mente riflessiva che ci consente di pensare noi stessi e di vedere le nostre azioni, ma nell'economia dell'Universo siamo un piccolo evento: così è nato il mondo e noi tutti e così scomparirà. A quel punto nessun'altra specie sarà in grado di pensare Dio e Dio morirà se nessun essere vivente sarà in grado di pensarlo. Noi non siamo una regola, noi siamo un caso, una specie creata dalla natura, come credo io, o da un dio trascendente come crede lei. Spinoza dice: Deus sive Natura, oppure anche Natura sive Deus. Lei sa che questa concezione della divinità, così intensa come lei ha, sconfina nell'immanenza? Una scintilla di Divinità sta dunque in tutte le creature viventi ed è appunto la vita.

Martini Lei mi domandò nel nostro precedente incontro che cosa io pensassi dell'affermazione del teologo Hans Küng che sostiene la fede verso la vita come la condizione preliminare e necessaria per arrivare alla fede in Dio. Lo ricorda?

Scalfari Sì, ricordo anche che lei era d'accordo con quell'affermazione.

Martini È vero e lo si vede osservando un bimbo appena nato il quale si affida nelle mani dei genitori totalmente. Anche lei è venuto qui nella fiducia che non avrebbe trovato nessuno con un fucile spianato. Questa è una forma primaria di fede.

Scalfari Chiaro. Lei ha detto in un suo scritto che è un errore affermare che Dio sia cattolico.

Martini Sì, l'ho detto. Dio è il Padre di tutte le genti, quindi apporgli l'aggettivo cattolico è limitante.

Scalfari Ammetterà tuttavia che il monoteismo cristiano è assai diverso da quello ebraico e anche da quello dell'islam. In quelle religioni la Trinità sarebbe considerata eresia inconciliabile con il Dio unico. In quelle religioni il Dio unico è innominabile e non raffigurabile, per i cristiani invece ha il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ed è stato dipinto e scolpito per millenni. La storia dell'arte occidentale è in gran parte la storia di Dio, del Figlio, della madre del Figlio, dei Santi. Si può dire che il cristianesimo è una religione monoteista? Oppure storicamente è una religione ellenistica?

Martini La Trinità è Dio-comunione. Il Figlio è la Persona con cui il Padre si manifesta agli uomini. Forse il modello "ontologico" con cui si è pensata la Trinità fino ad oggi dovrebbe cedere il passo al modello "relazionale" che aiuterebbe meglio anche il dialogo orizzontale. Quanto ai Santi, non sono solo intermediari tra noi e Dio ma anche testimoni del bene e forse la Chiesa ne ha canonizzati troppi.

Scalfari Dunque quando la nostra specie scomparirà e quando il giudizio universale sarà avvenuto il Figlio non avrà più ragion d'essere e lo Spirito santo neppure.

Martini Non esattamente, il Figlio sarà la beatitudine delle anime che vivranno nella luce.
Scalfari Senza memoria del sé terrestre che hanno abbandonato?
Martini Noi uomini non siamo in grado di sapere queste cose, di conoscere l'aldilà. Sappiamo però che Paolo dice che la Carità non avrà mai fine. Quindi supponiamo che riconosceremo ciò che abbiamo vissuto nell'amore.
Scalfari Dio è il padre di tutte le genti, ma la Chiesa ha fatto del Dio cattolico anche una bandiera d'identità, di guerra e di stragi.
Martini Quando ha fatto questo ha sbagliato. La Chiesa, come tutte le istituzioni terrene, contiene il bene ed il male ma è depositaria di una fede e di una carità molto grandi. Anche Pietro rinnegò.
Scalfari Forse è troppo istituzione.
Martini Forse è troppo istituzione.
Scalfari Forse è troppo dogmatica.
Martini Direi in un altro modo: l'aspetto collegiale della Chiesa è stato troppo trascurato. Secondo me questo punto andrebbe profondamente rivisto.

La conversazione dura ormai da oltre un'ora. Guardo don Damiano in modo interrogativo e lui mi fa di sì con la testa. Dico al cardinale che è arrivata l'ora di congedarmi. "Ma le faccio un'ultima domanda: che cosa pensa dei fatti politici italiani di questi ultimi mesi? La Chiesa, dopo un silenzio troppo lungo, mescolato con alleanze oltremodo discutibili, ha infine chiesto con il cardinale Bagnasco che venisse ripulito il fango che ha imbrattato l'etica pubblica. È d'accordo con questa posizione?".

Martini Sono d'accordo. In Italia esiste una cattolicità avvertita e consapevole e ci sono anticorpi preziosi che alla fine si manifestano contribuendo a recuperare il bene anche nella sfera dove si amministra il potere.

Mi alzo. Anche lui si alza aiutato da don Damiano. Ci abbracciamo. Lui mormora qualcosa e don Damiano traduce: "Ha detto che prega spesso per lei". Io rivolgendomi a lui gli dico: "Io la penso molto spesso, è il mio modo di pregare". Lui si avvicina al mio orecchio e con un filo di voce dice: "Prego per lei, e anch'io la penso spesso", sorride e mi stringe la mano. Forse voleva dire che pensare l'altro è più che pregare. Io almeno ho capito così.

sabato 24 dicembre 2011

Auguri democratici













Sotto l'albero noi democratici sardi troviamo una letterina di alcuni consiglieri regionali al segretario nazionale Bersani con la quale si chiede di intervenire per fare in modo che venga convocato un congresso che sancisca una nuova guida per il partito poichè l'attuale risulterebbe oramai obsoleta e superata per via di un presunto cambio di maggioranza in corsa di cui si sarebbe macchiato il se...gretario Lai, e disconoscendo altresì la Conferenza Programmatica in corso di svolgimento.
Ancora,troviamo le dimissioni di Milia dalla presidenza della Provincia di Cagliari a seguito di una sentenza penale che,di fatto,lo fa decadere dalla carica finora ricoperta.
Come dire,uno stillicidio di notizie davvero poco gradevoli per scambiarci gli auguri.
Mi viene da dire,con riferimento alla lettera in questione, ci risiamo,o anche,solito copione...Eh si,perchè evidentemente questo partito non riesce ad essere definitivamente tale e probabilmente,visto anche il capello della missiva che paventa abbandoni importanti e pesanti in caso di non accoglimento delle richieste,non lo diventerà mai.
Allora mi chiedo anch'io da democratico convinto,ma come è possibile andare avanti così, queste prese di posizione alla lunga indeboliscono il partito,sviliscono il senso di appartenenza e alimentano pericolosi e irreversibili sentimenti di qualunquismo anche tra i nostri militanti che,è bene sempre ricordarlo,tengono al PD perchè considerato il luogo ideale dove trovano perfetta cittadinanza le proprie idee,i propri sogni,le proprie passioni,i propri desideri più o meno realizzabili.
Buon Natale a tutti voi,care democratiche e cari democratici!

Buon Natale















Mi stavo chiedendo in questi giorni che tipo di riflessione potevo immaginare di imbastire sul significato del Natale, che valore ha oggi questa festa di fronte alle stortura della politica, alla crisi economica, alle violenze quotidiane, fisiche e psicologiche che i giornali rilanciano in un clima di complessiva angoscia. Oggi il Natale,anche per via di una evidente crisi di valori,rischia di perdere il suo senso originario. Anche molti credenti vivono in questo giorno una qualche forma di liturgia profana.
Benché il Natale sia una splendida manifestazione della gloria di Dio in Cristo e del suo amore per noi, i discorsi che si fanno a partire dal Natale sanno spesso di buonismo e di speranza a buon mercato. Essi sono un segno di poca lealtà con se stessi e con gli altri. Infatti diciamo delle cose che non sono vere e a cui nessuno crede. Ci auguriamo a vicenda lunga vita, felicità, successo, ci facciamo doni che vogliono dire l' affetto che ci portiamo, ma per lo più sappiamo che non è così. Molti uomini e donne attendono in questo giorno qualcosa, un evento o magari una persona che li tiri su, che restituisca loro l' ottimismo ingenuo che hanno irrevocabilmente perduto; qualcosa di nuovo e di grande, che potrebbe farli tornare indietro. Ma questa speranza è fallace, perché si basa solo sulle nostre forze e dimentica lo Spirito di Dio, il solo capace di aiutarci in maniera efficace. Dopo i giorni delle feste tutto ritorna più o meno come prima. È come un dirsi reciprocamente «ce la faremo», pur sapendo tutti che non è vero. Per vivere bene il Natale e ricavarne quel conforto che è giusto attendersi da questa festa, è necessario sforzarsi di capire ciò che viene detto nei Vangeli. In essi, soprattutto nel Vangelo secondo Luca, emerge un progetto di uomo che vive il dono di Dio nella meraviglia, nella gratitudine e nel distacco. Questo uomo nuovo può essere o un semplice come i pastori o uno studioso come i Magi. Tutti sono chiamati a partecipare all' esperienza dei pastori a cui fu detto: «Vi annunzio una grande gioia» (Lc 2,10). Chi partecipa di questa gioia, si difenderà da quel pericolo che è il Natale del consumismo, che ci impone di non sfigurare davanti ad amici e parenti con costosi regali. Pur avendo la coscienza che molte famiglie fanno fatica a far quadrare il bilancio del mese, si continua a spendere denaro pubblico e privato nella maniera più folle. Si tratta di una gioia semplice, intima, che può convivere anche con momenti di sofferenza e di strazio. Il bambino Gesù è l' immagine di questa fiducia e abbandono alla Provvidenza. Qui va ricordata la parola di Gesù: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Se noi riusciamo ad affidarci alla Provvidenza di Dio, accettiamo ogni cosa con fiducia, perché fa parte del disegno del Padre. Il Natale guarda alla Pasqua e il presepio contiene allusioni alla morte e risurrezione di Gesù. Esse erano presenti nella riflessione dei Padri. Così, ad esempio, il tema del legno della croce veniva ricordato dalla culla di legno in cui giace Gesù. Le pecore offerte dai pastori ricordano l' agnello immolato. Anche la Madre che si curva sul Figlio ci richiama alla pietà di Maria che tiene tra le braccia il Figlio morto."L' Altissimo viene tra i piccoli, si china sui poveri e salva". Dunque, il senso del Natale ci riporta al centro della nostra redenzione e ci procura una gioia che non avrà mai fine. Un simile atteggiamento positivo può convivere anche con grandi dolori e penosi distacchi. Questi sentimenti di dolore sono i segni di grandi ferite, che si riaprono soprattutto in questi giorni. Quando si vede a tavola un posto vuoto, riemerge il mistero del Crocefisso con le sue piaghe.












Mi viene in mente in questo momento Rossella Urru,la cooperante mia corregionale e anche mia vicina di casa,visto che i nostri rispettivi paesi non sono certo lontani,rapita due mesi fa in Algeria e non ancora liberata.Una ragazza così giovane che appena laureata lascia l'opulenza,le certezze e gli affetti più cari per dedicarsi totalmente a un progetto di solidarietà verso un popolo "bisognoso",e quindi agli "ultimi" come dice il Vangelo,beh,anche questa angosciosa vicenda dovrebbe davvero farci riflettere sul vero valore del Natale.
Sarebbe straordinario,per tutti noi e soprattutto per i genitori,i fratelli,gli amici, se magari nella notte della Vigilia arrivasse la notizia tanto attesa.
Un segno importante di questa "Grande Festa" è rappresentato dal fatto che il presepio viene contemplato anche da non credenti e da atei. Questo fascino deriva dall' atmosfera profondamente umana che in esso si respira. Una umanità che sa guardare anche al lato invisibile della realtà e si compendia nella preghiera «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama».

Buon Natale a tutti!

giovedì 22 dicembre 2011

La recita natalizia di Enrica

Assistere "alla prima" di nostra figlia Enrica in versione recita scolastica-natalizia non ha prezzo:un mix straordinario di gioia,emozione,commozione.
Grazie Amore!

mercoledì 14 dicembre 2011

Il Pd sardo e le deroghe













Leggo su "L'Unione Sarda" di oggi,nell'articolo a firma di Giuseppe Meloni,che il PD sardo nella direzione di lunedì ha giustamente discusso di regolamento di primarie sia per il parlamento che per la regione.Si parla altresì di un "lodo-Lai" che prevederebbe un 20% di consiglieri regionali uscenti che potrebbero godere di una sorta di deroga della direzione regionale del partito per la terza cand...idatura,rispetto allo statuto regionale che sancirebbe si un tetto di tre legislature sulla base di una norma approvata con un ordine del giorno che prevedeva appunto una valutazione della direzione regionale per la terza legislatura.
Ora,mi chiedo,ma come possiamo davvero risultare credibili se passasse questa disposizione,visto che nel 2009,a torto o a ragione,non ci furono deroghe per chi aveva due legislature.Altrimenti,e concordo totalmente con quanto dice Giacomo Spissu,ci sarebbe da pensare che allora si volesse colpire qualcuno.
Dico,due legislature senza deroga alcuna,per chiunque!

lunedì 12 dicembre 2011

La Democrazia senza i partiti













Sottoscrivo alla virgola questo straordinario fondo di Zagrebelsky pubblicato oggi su "Repubblica".
Io sono un democratico che non apprezza questo governo di tecnici e che soprattutto è profondamente deluso dal mio partito nella gestione del post-berlusconi,specie nella decisione unanime di "consegnare" il governo del Paese a chi non si è presentato al giudizio degli elettori per ottenere il consenso a governare.Ecco,leggo e rileggo questo bellissimo commento e vi scorgo,per quanto mi riguarda, la chiave di lettura secondo la quale il Pd ha smesso,non so per quanto(speriamo per poco),di fare politica secondo il dettato dell'art.49 della Costituzione.E mi duole molto,specie in queste giornate convulse precedenti all'approvazione di questa drammatica manovra da parte del parlamento,dove l'iniquità la fa da padrona.
Come non condividere che "in qualunque democrazia, i partiti hanno il compito di raccogliere le istanze sociali e trasformarle in proposte politiche.Si i partiti sono "dei trasformatori di bisogni in politica",così come è stravero che "la dialettica tra governo e società non trova oggi in Italia la necessaria mediazione dei partiti,di cui la democrazia ha necessità vitale".

E allora dico al mio partito,se ci sei davvero batti un colpo!


Gustavo Zagrebelsky


Ma, quando tutto questo sarà finito, che cosa sarà della politica e delle sue istituzioni? Diremo che è stata una parentesi oppure una rivelazione? Parentesi che, come si è aperta, così si chiude ridando voce al discorso di prima; oppure rivelazione di qualcosa di nuovo, sorto dalle macerie del vecchio?
Queste domande devono apparire insensate a coloro che pensano o sostengono che nulla di rilevante sia accaduto e che tutto, in fondo, sarà come prima, così forse credendo di meglio contrastare la tesi estremistica di coloro che, per loro irresponsabili intenti, hanno gridato allo scandalo costituzionale, al colpo o colpetto di stato. In effetti, chi potrebbe dire che la Costituzione è stata violata?
La scelta del presidente del Consiglio è stata fatta dal presidente della Repubblica; il presidente del Consiglio ha proposto al presidente della Repubblica la lista dei ministri e questi li ha nominati; il governo si è presentato alle Camere e ha ottenuto la fiducia; leggi e decreti del governo dovranno passare all´approvazione del Parlamento. Non c´è che dire: tutto in regola. Dovrebbero essere soddisfatti perfino coloro i quali pensano che la legge elettorale abbia sterilizzando poteri e possibilità del presidente della Repubblica.Come il potere di ricercare in Parlamento eventuali maggioranze diverse da quella venuta dalle elezioni. Per costoro, in caso di crisi, si dovrebbe necessariamente, sempre e comunque, ritornare a votare. Quella che si è formata per sostenere il nuovo governo, infatti, non è una maggioranza alternativa alla precedente; è – di fatto – la stessa, soltanto allargata a forze di opposizione chiamate a condividerne le responsabilità. Abbiamo girato pagina quanto alle persone al governo – il che non è poco – ma non abbiamo affatto rotto la continuità politica, come del resto il presidente del Consiglio, con atti e parole, continuamente, tiene a precisare. Onde potrebbe dirsi: prosecuzione della vecchia politica con altra competenza e rispettabilità. Nelle presenti condizioni politiche parlamentari, del resto, non potrebbe essere altrimenti.
Per quanto riguarda la legalità costituzionale di quanto accaduto, nulla dunque da eccepire. Semplicemente, il presidente della Repubblica ha fatto un uso delle sue prerogative che è valso a colmare il deficit d´iniziativa e di responsabilità di forze politiche palesemente paralizzate dalle loro contraddizioni, di fronte all´incombere di un rischio-fallimento, al tempo stesso, economico e finanziario, sociale e politico, unanimemente riconosciuto nella sua gravità e impellenza. Fine, su questo punto.
È invece sulla sostanza costituzionale, sotto il profilo della democrazia, che occorre aprire una discussione. È qui che ci si deve chiedere che cosa troveremo alla fine (perché, prima o poi, tutto è destinato a finire e qualcos´altro incomincia).
Di fronte alla pressione della questione finanziaria e alle misure necessarie per fronteggiarla, i partiti politici hanno semplicemente alzato bandiera bianca, riconoscendo la propria impotenza, e si sono messi da parte. Nessun partito, nessuno schieramento di partiti, nessun leader politico, è stato nelle condizioni di parlare ai cittadini così: questo è il programma, queste le misure e questi i costi da pagare per il risanamento o, addirittura, per la salvezza, e siamo disposti ad assumere le responsabilità conseguenti. Né la maggioranza precedente, che proprio di fronte alle difficoltà, si andava sfaldando; né l´opposizione, che era sfaldata da prima. Niente di niente e, in questo niente, il ricorso al salvagente offerto dal presidente della Repubblica con la sua iniziativa per un governo fuori dai partiti è evidentemente apparsa l´unica via d´uscita. Insomma, comunque la si rigiri, è evidente la bancarotta, anzi l´autodichiarazione di bancarotta.
Di fronte a grandi problemi, ci si aspetterebbe una grande “classe dirigente”, che cogliesse l´occasione propizia per mostrarsi capace d´iniziativa politica. Sennò: dirigente di che cosa?
Si dirà: e il governo, pur piovuto dal cielo, è tuttavia sostenuto dai partiti; anzi, il sostegno non è mai stato, nella storia della Repubblica, così largo; i partiti, quale più quale meno, per senso di responsabilità o per impossibilità di fare diversamente, alla fin fine, si mostrano in questo modo all´altezza della situazione. Sì e no. Sì, perché voteranno; no, perché il voto non è un sostegno e un coinvolgimento nelle scelte del governo ma è, piuttosto, una reciproca sopportazione in stato di necessità. Il governo, timoroso d´essere intralciato dai partiti; i partiti, timorosi di compromettersi col governo. Il presidente del Consiglio ha onestamente riconosciuto che i partiti, meno si fanno sentire, meglio è: votino le proposte del governo e basta. I partiti, a loro volta, sono in un´evidente contraddizione: devono ma non possono. Avvertono di dover votare ma, al tempo stesso, avvertono anche che non possono farlo impunemente. Gli stessi emendamenti di cui si discute in questi giorni sembrano più che altro dei conati: per usare il linguaggio corrente, non un “metterci la faccia”, ma un cercare di “salvarsi la faccia”.
In questa delicata situazione, i partiti devono esserci ma vorrebbero non esserci. Per questo, meno si fanno vedere, meglio è. I contatti, quando ci sono, avvengono dalla porta di servizio. Alla fine, si arriverà, con il sollievo di tutti, a un paradossale voto di fiducia che, strozzando il dibattito parlamentare, imporrà l´approvazione a scatola chiusa e permetterà di dire al proprio elettorato: non avrei voluto, ma sono stato costretto.
Ma c´è dell´altro. In un momento drammatico come questo, con il malessere sociale che cresce e dilaga, con la società che si divide tra chi può sempre di più, chi può ancora e chi non può più, con il bisogno di protezione dei deboli esposti a quella che avvertono come grande ingiustizia: proprio in questo momento i partiti sono come evaporati. Corrono il rischio che si finisca, per la loro stessa ammissione, per considerarli cose superflue, d´altri tempi. In qualunque democrazia, i partiti hanno il compito di raccogliere le istanze sociali e trasformarle in proposte politiche, per “concorrere con metodo democratico alla politica nazionale”, come dice l´articolo 49 della Costituzione: sono dunque dei trasformatori di bisogni in politiche. Una volta svolto questo compito di unificazione secondo disegni generali, ne hanno un secondo, altrettanto importante: di tenere insieme la società, per la parte che ciascuno rappresenta, nel sostegno alla realizzazione dell´indirizzo politico, se fanno parte della maggioranza, e nell´opporsi, se non ne fanno parte. Un duplice compito di strutturazione democratica, in assenza del quale si genera un vuoto, una pericolosa situazione di anomia, cioè di disordine politico, nel quale il governo si trova a dover fare i conti direttamente col disfacimento particolaristico, corporativo ed egoistico dei gruppi sociali, inevitabilmente privilegiando i più forti a danno dei più deboli. La dialettica tra governo e società non trova oggi in Italia la necessaria mediazione dei partiti. Di questa, invece, la democrazia, in qualsiasi sua forma, ha necessità vitale.
Gli storici avrebbero molto da dirci sulla miscela perversa di crisi sociale e alienazione politica, cioè sulla rottura del nesso che i partiti devono creare tra società e Stato. Non che la storia sia il prodotto di leggi ineluttabili, ma certo fornisce numerosi esempi, nemmeno tanto lontani nel tempo: nel nostro caso, esempi – che sono ammonimenti – del disastro che si produce quando le forze della rappresentanza politica e sociale si ritirano a favore di soluzioni tecnocratiche, apparentemente neutrali, né di destra né di sinistra, al di sopra delle parti. Può essere che in queste considerazioni ci sia una piega di pessimismo, ma vale l´ammonimento: non tutti gli ottimisti sono sciocchi, ma tutti gli sciocchi sono ottimisti.
E allora? Allora, il rischio è che, “quando tutto questo sarà finito” ci si ritrovi nel vuoto di rappresentanza. Una certa destra nel vuoto si muove molto bene, per mezzo di qualche facilissima trovata demagogica. Il vuoto, invece, a sinistra ha bisogno di ben altro, cioè di partecipazione e di fiducia da riallacciare tra cittadini, e tra cittadini e quelle istituzioni che esistono per organizzare politicamente i loro ideali e interessi. Questo – altro che sparire, arrendendosi alle difficoltà – è il compito che attende i partiti che stanno da quella parte, un compito che ha bisogno di idee e programmi, strutture politiche rinnovate e trasparenti, uomini e donne di cui ci si possa fidare. Non di salvatori che “scendono in campo”, ma di seri lavoratori della politica, degni del rispetto dei cittadini di cui si propongono come rappresentanti.

La Sardegna riparte dai piccoli Comuni.Il senso di una iniziativa.


Venerdì 16 Dicembre Ales-Sala Convegni Unione dei Comuni ore 16,30


di Roberto Scema



Ci sono modi e modi di parlare di piccoli Comuni.

C'è chi ne parla in chiave ragionieristica, stigmatizzando il "costo" finanziario degli Enti rapportato alla popolazione.

C'è chi ne parla in maniera melodrammatica, imprecando contro il destino cinico e baro che, sotto svariate forme, lavora per cancellarli o ridurli ad entità simboliche.

C'è chi ne parla come delle riserve indiane, dove tenere gli indigeni da mostrare ai turisti in cerca di un esotico che sa di selvaggio e primordiale.

E c'è chi invece ritiene che i Piccoli Comuni possono rappresentare per la Sardegna dei prossimi anni, un formidabile volano di sviluppo, attraverso politiche accorte, capaci di guardare un po' più in là del contingente.

L'avvio della Conferenza Programmatica a Baradili ha dimostrato che questa è oramai una convinzione che è patrimonio comune dei Democratici sardi.

Certo, è una convinzione che va adeguatamente declinata e riempita di contenuti.

E ci sono tante, tante persone, amministratori locali e semplici cittadini, che vogliono contribuire a farlo.

Questo il senso del nostro appuntamento del 16 dicembre, ad Ales, dalle 16.30, presso la sede della Unione dei Comuni, insieme a Gianni Sanna, Emiliano Deiana, Antonio Solinas, Caterina Pes e Renato Soru, e a tanti amministratori locali.

Il contributo del Pd oristanese alla Conferenza Programmatica.

Per uscire dagli slogan ed entrare nella Sardegna del futuro.

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venerdì 2 dicembre 2011

Il ruolo del PD nella crisi italiana












Sono giorni difficilissimi per il nostro Paese e,penso,anche per il mio partito,il Pd.Lunedì verosimilmente conosceremo le prime pesanti misure del governo Monti per cercare di rimettere in piedi la drammatica situazione economico-sociale della nostra cara Italia.Immagino che,al di la di quanto racconta la stampa,la tv,internet e i vari social network,la discussione e soprattutto le fibrillazioni anche nel Pd, riguardo a queste misure,siano molto accese e marcate.Si racconta di un'anima liberale e una più sociale che si starebbero confrontando molto animatamente sulle misure che dovranno poi essere votate dal parlamento.Ma che c'è di strano o di male?
Personalmente non sono totalmente d'accordo con Casini quando dice, a proposito di queste discussioni nei partiti azionisti del governo Monti sulle linee finanziarie che dovranno essere varate dal governo nei prossimi giorni, che il Premier in queste ore non deve essere tirato per la giacca dai vari segretari perchè gli stessi partiti conferendoli una maggioranza bulgara in parlamento gli hanno trasferito una delega molto ampia e "autonoma".
Ho capito,ma non tutti i partiti,specie in questi momenti così difficili per i senza lavoro, per le famiglie,per i giovani,per i pensionati,per i precari,riescono ad esprimere la stessa sensibilità soprattutto per le fasce sociali succitate.
Io credo che il Pd appunto,per sua natura, non possa esimersi dal confrontarsi al suo interno in maniera serrata su quesi temi,arrivando poi a una giusta sintesi che poi possa essere "suggerita" a Monti.
Nei giorni scorsi c'è stata questa inutile polemica all'interno del Pd,sulle misure economiche da adottare anche alla luce della famosa lettera della Bce,tra i cosidetti liberal e Fassina,responsabile economico del partito.
Francamente non so,ne da democratico mi interessa saperlo,a che area faccia riferimento Fassina all'interno del Pd,così come non mi interessa conoscere quanti siano questi liberal che ne hanno chiesto le dimissioni.
Tuttavia io mi riconosco nelle posizioni del responsabile economico quando dice che non si può far pagare questa crisi alle solite categorie più deboli.
Ad onor del vero non condivido però nemmeno la risposta di Fassina ad Ichino,sempre su questa polemica, dicendo che le posizioni di quest'ultimo in materia rappresenterebbero il 2% mentre la sua abbraccerebbe il restante 98%.
Un partito come il Pd,specie in questa terribile congiuntura, ha bisogno del contributo di quanti hanno davvero ricette importanti da mettere a disposizione del Paese.E francamente ne abbiamo.
Non è esatto dire,come fa oggi Maltese sul "Venerdì di Repubblica" che il Pd dice poche cose di sinistra,e tuttavia è indubbio che quando,come ha fatto Fassina,si fanno certe considerazioni, che certamente sono di sinistra,non possono non essere condivise dall'intero partito.
Credo che la prima inderogabile linea-guida del Pd e di un partito di sinistra debba essere quella di tutelare i più deboli,gli ultimi,proprio quelli che in questa situazione ovviamente soffrono più di tutti.
Il Pd deve essere il partito che lavora senza soluzione di continuità, e a maggior ragione in questo momento, per eliminare le disuguaglianze,specie quelle più eclattanti e ingiustificabili.
Questo fa parte del Dna dei democratici.



Che dibattito,nel PD,se qualcuno dice qualcosa di sinistra...
da "Contromano" di Curzio Maltese.



Per aver detto un paio di cose di sinistra,l'economista Stefano Fassina ha subito una specie di processo interno nel Pd,nel quale i cosidetti liberal hanno chiesto le sue dimissioni dal ruolo di responsabile economico del partito.Il segretario Bersani ha replicato:"Questa non l'ho proprio capita".
Non l'abbiamo capita nemmeno noi.
La colpa di Fassina sarebbe d'aver ripetuto cose che ormai dicono anche Mario Draghi o i vescovi italiani.E cioè che non si può far pagare anche questa crisi alle solite tre categorie,giovani,pensionati,lavoratori dipendenti.Per i giovani italiani ormai bisognerebbe chiamare in causa Amnesty International.Sono pochissimi,sfruttati,precari o disoccupati,con un potere d'acquisto dimezzato rispetto ai coetanei delle altre grandi potenze industriali.Dovrebbero essere ancora più flessibili?Ma di più flessibili esistono soltanto gli schiavi.Lo stesso discorso,più o meno,vale per i lavoratori dipendenti e i pensionati.Una volta per tutte poi bisognerà chiarire che l'Italia non è un Paese di sprechi perchè le pensioni e i salari sono troppo alti,il che è una bella idiozia,e tantomeno perchè s'investono troppi soldi sulle politiche giovanili,quasi inesistenti.Gli sprechi italiani stanno altrove,nell'evasione fiscale da 150 miliardi e nella corruzione da 70 miliardi l'anno.Quì bisogna intervenire con la scure.
Queste cose non sono nemmeno di sinistra,sono semplicemente di buon senso.Ma la sinistra italiana sembra aver smarrito pure quello.Una delle geniali vignette di Altan recita:"Bisogna rispettare chi la pensa diversamente da noi"."Si,ma noi che pensiamo?".Ora è venuto il momento di chiedersi che cosa pensa la sinistra italiana,se pure pensa qualcosa.
Trent'anni di politiche liberiste hanno condotto le società occidentali,in particolare le europee e più di tutte l'italiana,a un passo dal baratro e dal fallimento.Si può andare avanti su questa strada?Si può accettare a scatola chiusa la lettera della Bce e farne un vangelo economico?
Se la risposta è si,alloranon serve una sinistra in Italia.
Bastano e avanzano Fini e Casini,una destra più civile e meno autoritaria di quella berlusconiana,ma pur sempre destra.Altrimenti forse bisogna farsi venire qualche idea nuova,che non sia scippare qualche altro euro ai pensionati,agli operai e agli impiegati,oppure costringere tutti i giovani italiani a mettersi in fila all'ufficio di collocamento per uno stipendio inferiore ai mille euro al mese.Se poi i liberal la pensano in altro modo,forse sarebbe meglio chiedere a loro le dimissioni.Alla fine,non è che inseguire la destra in ogni follia di questi anni abbia portato tutti questi voti alla sinistra.

martedì 4 ottobre 2011

A proposito di servizio di trasporto scolastico a Nureci e dintorni












Ho appena letto sul sito del Comune di Nureci la deliberazione adottata da questa amministrazione con la quale si stipula una convenzione con il Comune di Laconi per il servizio di trasporto degli alunni di Nureci della scuola primaria e secondaria di primo grado verso l'Istituto Comprensivo di Laconi per l'anno scolastico in corso.
Faccio parte, da quattro mesi, del gruppo di maggioranza che governa Nureci ed è proprio per questo motivo che non ho partecipato alle ultime due assemblee civiche perchè,prendendo parte a quelle riunioni mi sarei trovato in una posizione molto imbarazzante nel momento in cui fossi stato chiamato a dover esprimere un voto la prima volta su un ordine del giorno di recesso dalla convenzione con l'Unione dei Comuni dell'Alta Marmilla,di cui lo stesso Comune di Nureci fa parte, del servizio di trasporto scolastico,e la seconda volta,sulla stipula di una nuova convenzione con il Comune di Laconi per lo stesso servizio.
La situazione che è venuta a configurarsi a Nureci,già dallo scorso anno scolastico,è questa:i genitori di 18 alunni su 23 frequentanti la scuola dell'obbligo hanno deciso di ritirare i propri figli dai plessi dei comuni di Senis e di Villa Sant'Antonio, per raggiungere i quali era in essere il servizio di trasporto gestito dall'unione dei comuni, trasferendoli presso la scuola primaria e secondaria di primo grado dell'Istituto Comprensivo di Laconi.
Le scuole presenti a Senis e a Villa Sant'Antonio costituiscono, insieme ad altre del territorio, l'Istituto Comprensivo di Senis.A quel punto hanno chiesto al Comune di Nureci,vista la mutata situazione,di farsi carico del servizio di trasporto.Le ragioni addotte,se non ho capito male,dovrebbero essere legate alla qualità della scuola,insufficiente a Senis e Villa Sant'Antonio,migliore a Laconi.
Per lo scorso anno scolastico il comune non è intervenuto a supportare questa richiesta mentre quest'anno ha deciso di farsene carico.
In sede di gruppo consiliare prima e di dibattito il aula successivamente su questa situazione ho espresso la mia personale opinione,anche alla luce di quella che può essere la mia esperienza amministrativa.
Vent'anni fa circa le popolazioni di questo territorio e le amministrazioni comunali si ritrovarono drammaticamente di fronte ad un problema non più eludibile di soppressione di scuole per via della esigua popolazione scolastica conseguente alla crescente e inarrestabile denatalità.
La lungimiranza e il buon senso degli amministratori di allora scongiurarono tutto sommato questo rischio, con il supporto fondamentale dell'organismo sovracomunale di riferimento(la Comunità Montana dell'Alta Marmilla).Il territorio facente parte di quella Comunità Montana venne ridisegnato,sotto il coordinamento delle direzioni didattiche e delle presidenze di allora, in modo tale da garantire in ciascun comune un plesso scolastico,mentre il servizio di mense e trasporti divenne il fiore all'occhiello dell'ente sovracomunale,che ne assumeva la gestione su delega dei comuni.
Negli anni ho avuto modo di sperimentare direttamente la bontà e appunto la lungimiranza di quella decisione assumendo prima l'incarico di assessore alla Pubblica Istruzione e poi di Presidente di quell'organismo.
Tornando a oggi ho detto in gruppo e in consiglio comunale che l'unità del territorio è un bene troppo importante da salvaguardare,così come non può essere messa minimamente in dubbio la collocazione storico-geografica del Comune di Nureci,con tutto quello che ne consegue.
Ho anche sottolineato come in una fattispecie di questo tipo molte volte ci si ritrova nel doppio ruolo di sindaco o di amministratore comunale e di genitore,e dove,molto spesso,l'esercizio degli stessi segue binari paralleli ma non coincidenti,nel senso che il genitore,legittimamente,pretende la scuola migliore per il proprio figlio,mentre l'amministratore si ritrova a dover gestire questo tipo di situazione anche dal punto di vista politico, cercando di far fronte a tutta una serie di difficoltà dettate evidentemente da un concorso di cause.
Io credo che per il sindaco di Nureci non era certamente facile cercare di dissuadere i genitori degli alunni che avevano deciso di spostare i loro figli da Senis o Villa Sant'Antonio per mandarli a Laconi.
Tuttavia penso anche che questo stato di cose poteva e doveva essere gestito meglio dal punto di vista politico,perchè questo,per come è nato e per come poi si è sviluppato,è un problema tutto politico.
Intanto questa storia è stata usata e strumentalizzata dalla minoranza consiliare che,solo qualche mese fa,ha costruito sulla vicenda una lista da contraporre alla amministrazione uscente.Ora ho dovuto invece registrare una totale sintonia tra maggioranza e minoranza tanto da trovarmi particolarmente spaesato in aula.
Su questo tema il candidato a sindaco della lista che ha perso le recenti elezioni ha più volte sottolineato, per perorare la sua causa, che è tempo di finirla con i giochetti di sedicenti politici del territorio che,a suo dire,non lo fanno crescere.
Ebbene,come peraltro ho avuto modo di ribadire in aula,nel territorio non ci sono politicanti che non fanno crescere il territorio,ci sono invece,e questo lo testimonia la vivacità anche sociale e culturale dello stesso,sindaci e amministratori che spendono,con grande spirito di abnegazione,le loro migliori energie per migliorare ogni giorno di più le condizioni di vita delle rispettive popolazioni.
Nureci è un comune che fa parte integrante del territorio dell'Alta Marmilla,lì è la sua collocazione,fa parte di un Unione di Comuni e di un consorzio turistico di questo territorio.
Infine una nota che evidentemente evidenzia la paradossalità che è venuta a configurarsi con la revoca all'unione dei comuni di Ales e la stipula di una nuova convenzione con Laconi:gli alunni che hanno deciso di continuare a frequentare le scuole del territorio non hanno più il servizio di trasporto scolastico.

Scriveva il Manzoni: "ai posteri l'ardua sentenza!"

venerdì 16 settembre 2011

L'emozione del primo giorno di scuola di una figlia non ha prezzo!






Ieri è stata una giornata densa di emozioni,di emozioni vere,per me e per mia moglie.
Per la nostra piccola Enrica è stato il primo giorno di scuola,la sezione primavera della scuola dell'infanzia.

lunedì 29 agosto 2011

9/10/11 Settembre 2011,Laconi,Festa Democratica del Sarcidano e dell'Alta Marmilla


















Dal sito del Partito Democratico di Oristano


Questo è il programma della Festa Democratica del Sarcidano e dell’Alta Marmilla che avrà inizio il 9 Settembre e proseguirà nelle giornate del 10 e dell’ 11 a Laconi nel cortile esterno del Palazzo Aymerich.

VENERDI’ 9 SETTEMBRE
ORE 18.30
Apertura della Festa da parte del Segretario Provinciale Gianni Sanna
e del Segretario del Circolo di Laconi Carlo Petricci

A seguire – cortile esterno Palazzo Aymerich

Conferenza: VERSO IL PARTITO DEMOCRATICO SARDO

Introduce Gianni Sanna
Intervengono: Silvio Lai – Renato Soru
Modera il dibattito: Maria Obinu

Partecipano: I rappresentanti istituzionali del territorio, la segreteria provinciale, i componenti dell’Assemblea e della Direzione Provinciale, l’Assemblea degli Amministratori locali del Partito, i Segretari di circolo.

ORE 20.30 – parcheggio Comune: Apertura stand gastronomico: Sagra del maiale arrosto
Ore 21.30 – cortile esterno Palazzo Aymerich: Flavio Soriga presenta “Nuraghe beach”

SABATO 10 SETTEMBRE

ORE 19.00 – cortile esterno Palazzo Aymerich IL LAVORO E LO SVILUPPO nelle aree interne

Intervengono:
Gianvalerio Sanna e Antonio Solinas, Consiglieri Regionali del PD
Franco Cocco – Direttore Provinciale della Coldiretti
Claudio Atzori – Direttore Provinciale Lega Coop
Serafino Mura – Direttore Provinciale della CIA
Partecipano dirigenti ed amministratori locali del territorio provinciale.

Coordina: Marco Tatti, segreteria Provinciale PD

ORE 20.30 – parcheggio Comune: Apertura stand gastronomico

ore 21.30 – Musica e Tradizione con Ignazio Cadeddu (Chitarra), Stefano Pinna (Launeddas),
Gianni Ore (Fisarmonica), Giusy Deiana Voce)
ore 23.00 – Musica e Innovazione: Nori Abes in concerto.

DOMENICA 11 SETTEMBRE

ORE 11.00 – IL LAVORO E LO SVILUPPO: LA SCOMMESSA AL FEMMINILE

Partecipano
Caterina Pes – parlamentare PD
Francesca Barracciu – Consigliere Regionale PD
Intervengono: operatrici economiche del territorio.
Coordina i lavori: Ottavio Olita.

ORE 13.00 – Pranzo comunitario e chiusura della Festa

lunedì 22 agosto 2011

Al lavoro per il PD

Si aprirà nei prossimi giorni per il Pd sardo, e dunque anche per me come militante-iscritto-dirigente, un periodo davvero intenso dal punto di vista degli appuntamenti e delle scadenze che ci porteranno, verosimilmente per il prossimo gennaio, alla nascita del Partito Democratico Sardo.
Rispetto agli ultimi anni mi pare che,anche in questo periodo di vacanze,il lavoro,in vista appunto di questi importanti adempimenti,non si sia fermato granchè.Noi siamo impegnati,per esempio,nel confezionamento della Festa Democratica di Laconi che,insieme a quella svoltasi nelle scorse settimane a Bosa,rappresentano per il PD di Oristano le due importanti occasioni di incontro-confronto anche in vista dei succitati impegni regionali.
Ci sarà poi a Baradili(nel nostro territorio)l'avvio della conferenza programmatica regionale che certamente,e al di la del formalismo legato ad un deliberato dell'assemblea regionale dello scorso marzo che prevede questo passaggio come atto propedeutico di avvicinamento al congresso straordinario,dovrà rappresentare un momento determinante per la predisposizione di una piattaforma programmatica che potrebbe servire anche prima dei due anni e mezzo che ci separano dalla conclusione naturale della legislatura alla Regione e che dovrà definitivamente sancire il tratto caratteristico del partito sardo quale vera forza riformista del centrosinistra e perno fondamentale della stessa coalizione.
Altro tassello da non sottovalutare è il tesseramento.
Dunque,l'auspicio(per quanto mi riguarda)è che possa dare il mio modesto contributo animato da quella passione,entusiasmo e spirito di servizio che a dire il vero sembra non manchino!

sabato 20 agosto 2011

Il significato di una vacanza












Era da un po di tempo che non mi capitava di concedermi una vacanza,intesa come periodo dedicato esclusivamente alla famiglia.
Quest'anno,complice anche la determinazione mia e di mia moglie a stare qualche giorno con la bimba tutti insieme,abbiamo "staccato" per due settimane.
Siamo stati molto bene con nostra figlia,con la quale abbiamo trascorso giornate semplici e intense,godendo della sua grande felicità nel vedere la famiglia riunita.
Certamente non ha prezzo essere presente la mattina quando la bimba si sveglia o la sera quando,dopo una giornata trascorsa insieme a giocare e a condividere tutto,si addormenta tra le nostre braccia.
Straordinario!
Così come non hanno prezzo le lunghe chiaccherate con mia moglie,dopo tanto tempo in cui,per via dei fisiologici reciproci impegni della vita quotidiana, vengono sacrificati proprio questi aspetti fondamentali del menage familiare.
Ecco il grande significato di questo periodo di riposo.

E allora grazie al buon Dio per questo dono!

Auguri Fabio e Patrizia















Ci tenevo molto a prendere parte questo pomeriggio alla benedizione delle nozze di Fabio e Patrizia.
Ci tenevo molto perchè,dopo alcuni anni in cui ci si era allontanati per via di incomprensioni davvero poco importanti(rispetto al valore immenso dell'amicizia)tra me e Fabio è tornato il rapporto importante che da sempre(da quando avevamo i pantaloni corti e giocavamo nelle indimenticabili strade polverose e negli spazi sterrati di Nureci)ha caratterizzato la nostra infanzia-adolescenza-maturità nel nostro carissimo paesello.
Molto tempo trascorso insieme,molti interessi comuni,dallo sport alla politica(quella,per interderci,che contempla solo il mettersi gratuitamente a disposizione della nostra comunità con spirito di servizio e con la determinazione di contribuire a far crescere Nureci).
Ricordo con molto affetto i primi anni di amministrazione comunale insieme nel corso dei quali,tra le altre cose,ci prodigammo,dopo la conclusione della gratificante esperienza della locale squadra di calcio,per la trasformazione della nostra vecchia e cara ex scuola elementare(luogo di grandi ricordi anche affettivi),che peraltro entrambi frequentammo,in centro sociale ove sistemammo insieme un proiettore e uno schermo per consentire la domenica ai nostri amici del paese,orfani appunto del football locale,di assistere alle dirette delle partite del Cagliari(la pay tv iniziava a muovere i primi passi).Ovviamente questo esperimento riuscì alla grande,perchè soprattutto centrammo l'obiettivo di far diventare questo luogo e questo appuntamento occasione di grande socializzazione al di là dell'aspetto meramente sportivo.
La nostra amicizia risultava corroborata anche da una significativa frequentazione,con relativo affetto,delle nostre rispettive famiglie.
Conosco invece poco Patrizia e tuttavia ho carpito la sua totale sintonia con Fabio,questo mi fa davvero molto piacere.
Purtroppo,per via di una improvvisa quanto fisiologica malattia di nostra figlia,non potremo stasera essere li certamente ad emozionarci con loro.
Pazienza,l'importante,ci tengo molto a sottolinearlo,è che i nostri rapporti siano tornati ad essere quelli di sempre.
Carissimi Fabio e Patrizia,vi giungano dal più profondo del nostro cuore gli auguri per una lunghissima e felice vita insieme!

Enrica,Annalisa e Marco.

domenica 14 agosto 2011

Eliminare i Piccoli Comuni? No,grazie.


di Roberto Scema,Sindaco di Villaverde e Responsabile Enti Locali Segreteria Provinciale PD-Oristano






L'accorpamento obbligatorio dei Comuni sotto i 1000 abitanti, con l'eliminazione delle Giunte e dei Consigli Comunali è una decisione che mina direttamente il principio democratico della rappresentanza e che si tradurrà, per la collettività, in un costo di molto superiore a quei quattro soldi che si risparmieranno tra gettoni di presenza e qualche rimborso ai datori di lavoro per le assenze amministrative.

Sopprimere Giunte e Consigli equivale a sciogliere l'unica associazione di volontariato che opera nelle piccole Comunità, e che si fa carico, GRATIS, ed al posto dello Stato, dei problemi dell'ambiente, della sicurezza sociale, di socialità, di cultura, di viabilità locale, di protezione civile, di ordine pubbico, di coesione sociale.

Non sapere questo, o fare finta di non saperlo, equivale, dal mio punto di vista, all'assenza di un prerequisito di base, per chi governa il nostro paese.

Ahimè, leggo inoltre che l'accorpamento dei piccoli comuni comparirebbe anche nella contromanovra del PD.

Non so chi abbia autorizzato Bersani ad inserire tale proposta.

Non di certo migliaia e migliaia di amministratori locali che, sparsi in tutta Italia, e moltissimi in Sardegna, ci mettono tutti i giorni la faccia, anche a nome dei Dirigenti nazionali del Partito Democratico.

A meno che non ci venga spiegato che siamo noi fuori posto.

Ma questa è un'altra storia.

Numeri e Piccoli Comuni










di Emiliano Deiana-Forum Piccoli Comuni ed Aree Rurali PD-Sardegna


Su questa faccenda dei tagli alle 50.000 "poltrone" occorre dare alcuni numeri per coglierne appieno la natura demagogica e strumentale del provvedimento.

Tecnicamente i piccoli comuni sono i Comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

In Sardegna sono considerati piccoli comuni quegli enti con popolazione inferiore a 3.000 abitanti.

In Italia i cittadini che vivono i piccoli comuni sono oltre 10 milioni.

Nel 2006 (sono gli ultimi dati disponibili, fonte Anci):

I Comuni con popolazione da 0-499 sono 838;

I Comuni con popolazione da 500-999 sono 1.120;

Sempre nel 2006 la popolazione che risiede nella classe demografica di Comuni fra 0-499 è di 251.671 abitanti mentre quelli che risiedono nella classe demografica fra 500.999 è di 836.002 abitanti. Fra i 1.000.1.999 vivono invece 2.368.548 abitanti.

In Sardegna i Comuni fra 0.499 abitanti sono 40 con un numero di abitanti pari a 12.592.

In Sardegna i comuni fra 500-999 sono 73 per una popolazione pari a 54.929.

In Sardegna i Comuni fra 1.000-1.999 sono 92 per una popolazione pari a 132.107 abitanti.

In Sardegna ci sono 309 su 377 con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti circa l'83% del totale dei comuni sardi. In questi comuni vive un terzo, 534.981, della popolazione sarda.

In Provincia di Cagliari ci sono 12 Comuni con popolazione inferiore a 1.000 (dati Ras 2011).

In Provincia di Carbonia-Iglesias 1;

In Provincia del Mediocampidano 9;

In Provincia Ogliastra 3;

In Provincia di Nuoro 16;

In Provincia Olbia-Tempio 1;

In Provincia di Oristano 48;

In Provincia di Sassari 27;

Per un totale di 117. Nel 2006, secondo i dati Anci, erano 113.

Ed allora andiamo a calcolare come e cosa incidono, dal punto di vista economico, le amministrazioni di questi comuni.

Ogni Comune ha un Sindaco, 4 Assessori Comunali.

Il Consiglio Comunale è composto da 13 membri (Sindaco compreso).

L'indennità lorda per un Sindaco con popolazione inferiore a 1.000 abitanti è di circa 1.200 euro.

Il Vicesindaco percepisce un'indennità pari al 20% di quella del Sindaco;

Gli Assessori percepiscono un'indennità pari al 15% di quella del Sindaco;

I gettoni di presenza per i Consiglieri comunali sono di circa 16 euro a seduta.

Ogni anni in Sardegna si spendono circa 1.684.800 per l'indennità di carica dei Sindaci con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti. Costano, 117 Sindaci, come 5 o 6 Consiglieri Regionali.

I Consigli Comunali si riuniscono per un numero limitato di sedute, massimo una volta al mese, e pertanto le spese per le assemblee civiche è davvero ridotto e non supera, salvo delle eccezioni, i 2.000 euro annui.

Poi c'è il lavoro quotidiano che riguarda qualcosa di impalpabile, di non economico, ma decisivo: la qualità della democrazia.

Ogni giorno in Sardegna, nei 117 Comuni oggetto delle attenzioni del Governo Berlusconi, Sindaci, Assessori, Consiglieri comunali lavorano a contatto con i cittadini.

I risultati riguardano le capacità di ciascuno, ma l'attenzione, la vicinanza alle problematiche delle popolazioni riguarda tutti questi amministratori che spesso sacrificano una porzione della propria vita a favore della comunità.

Si tralasciano affetti, carriere, hobby, svaghi a favore del bene collettivo.

Inoltre i Sindaci di queste popolazioni non solo amministrano le popolazioni, ma anche e soprattutto i territori. Territori spesso lasciati all'incuria, all'abbandono e preda, sempre più, degli speculatori del vento, del sole, delle cave, delle discariche. Sindaci e amministratori che spesso, per le coraggiose posizioni che assumono, sono oggetto di attentati, intimidazioni.

Le poltrone che si dice di voler tagliare sono spesso, anzi sempre, delle scomodissime sedie sulle quali sono sedute persone che non hanno nessuna visibilità fuori dai confini comunali, che lavorano nell'ombra, che alimentano, solo col proprio esempio (anche negativo, talvolta) quella cosa bellissima che si chiama democrazia.

Altra cosa che non viene calcolata, di fianco al "prezzo" delle indennità, sono i risultati che si ottengono durante le legislature: opere, servizi, lavori che alimentano l'economie di centinaia e centinaia di piccole imprese, cooperative che sono il motore che muove l'economia della nostra isola.

Questa voce, nelle tabelle del Ministro Tremonti, non è contemplata, ma possiamo assicurare che il contributo dei comuni piccoli e piccolissimi danno alla crescita economica complessiva è determinante non fosse altro che per il fatto che i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti non sono soggetti al Patto di Stabilità.

Ed allora il Governo della Destra nasconde i tagli da 10miliardi di euro (sul walfare, sull'assitenza, sui servizi sociali e scolastici, sul trasporto pubblico locale) con i tagli alla democrazia locale, una democrazia vicina ai cittadini, che ha cura del territorio rurale, del paesaggio.

Ecco perchè bisogna dire No al grande imbroglio, un imborglio che colpisce i "piccoli", le piccole comunità dove si annidano valori e saperi antichi, dove il culto dell'autonomismo non è campanilismo, ma orgoglio comunitario. Si colpiescono i piccoli per nascondere il mantenimento dei privilegi, delle ruberie di Stato, degli sprechi dei Ministeri e dei Consigli Regionali, gli imbrogli alla bouvette di Montecitorio, le auto blu, i voli di Stato.

Colpirne cento per lascire gli altri liberi di fare i loro porci comodi, indisturbati, senza nessun controllo sociale, alle spelle dei cittadini onesti che continuano a pagare le tasse e a mantenere in piedi quel che resta di questo Stato sbrindellato.

EMILIANO DEIANA - FORUM PICCOLI COMUNI ED AREE RURALI PD-SARDEGNA






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sabato 30 luglio 2011

Dai partiti ai movimenti e ritorno









di Ernesto Maria Ruffini

In principio era la politica e con essa i partiti, quelli che venivano chiamati partiti di massa con i loro milioni di voti. Poi sono arrivate le masse da sole e i movimenti con i loro milioni di astensioni. E nel mezzo che è successo? Che fine ha fatto il ruolo dei partiti? E quale era questo ruolo? Se proviamo a domandarlo ai ragazzi nati dopo il 1989 non avremo risposte incoraggianti.

I partiti sono purtroppo percepiti come luoghi dove regna sovrana la casta per la tutela degli interessi di pochi privilegiati e i movimenti come l’unico modo che il popolo ha per far sentire la sua voce e per costruire il bene comune.

Ma è davvero così?

In realtà, nella mente dei nostri Costituenti, i partiti politici avrebbero dovuto essere il mezzo per consentire a noi cittadini di partecipare concretamente alla vita politica del Paese. Avrebbero dovuto essere, dovrebbero essere ancora – e per molti anni lo sono effettivamente stati – lo strumento di mediazione tra i cittadini e le istituzioni, per impedire qualsiasi forma di democrazia plebiscitaria, dove il popolo è chiamato ad occuparsi di politica solo in occasione del voto.

È nei partiti, quindi, che dovrebbero essere elaborate le domande che la società pone in continuazione. È nei partiti che dovrebbero essere raccolte le idee per organizzare una volontà comune attraverso i programmi elettorali. È «nei partiti che si preparano i cittadini alla vita politica e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la loro volontà; è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel Parlamento» (Mortati). Perché i partiti «sono le fucine in cui si forma l’opinione politica e in cui si elaborano le leggi» (Calamandrei).

I partiti immaginati dai Costituenti, quindi, non erano solo il mezzo per selezionare la classe politica destinata a rappresentare e guidare il Paese, ma anche l’indispensabile strumento per favorire la dimensione sociale del singolo cittadino e il suo inserimento nel contesto che lo circonda, in modo da consolidare e favorire la maturazione della vita democratica e il confronto tra le diverse idee di società nella ricerca della sintesi dell’indirizzo politico del Paese.

Ed infatti, i partiti, «quando nacquero, dopo la insurrezione, erano pensiero, erano cultura, erano formazione, specie per i giovani, erano ricchezza di programmi, erano insegnamento di incrocio dialettico fra pensieri diversi. Poi, ci fu la degenerazione. Se ci sono, i partiti devono tornare con questa impostazione di alto profilo, devono aiutare ad elevare la politica» (Scalfaro).

Ma allora cos’è che non ha funzionato? In cosa sarebbe stata tradita la visione dei Costituenti? In cosa sarebbe stato tradito l’articolo 49 della Costituzione, dove è previsto che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la vita politica nazionale»?

Forse proprio in questo, nel “metodo democratico” che dovrebbe caratterizzare la vita di ogni partito.

Ora, coma allora, lo Stato non sarebbe realmente democratico se le decisioni politiche destinate ad influenzare la vita dei singoli cittadini venissero adottate all’interno di organismi per i quali non fosse garantita alcuna forma di democraticità interna e dai quali la stragrande maggioranza dei cittadini fosse estranea. Perché «se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere un indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese» (Moro); perché «una democrazia non può esser tale se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi e in cui si scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti coi sistemi democratici» (Calamandrei).

Ma il metodo, oltre ad essere effettivamente democratico, deve anche essere percepito come tale. E troppo spesso la sensazione è che tutto sia invece deciso a tavolino da pochi e passivamente accettato da tutti gli altri. E questa legge elettorale, di certo, non ha aiutato. Anzi!

Una sensazione dettata anche dalla innata tendenza dei militanti di partito, specialmente nei partiti di sinistra, di fare comunque ritorno nella maggioranza interna, dopo aver esposto un timido o coraggioso dissenso. Come se l’essere minoranza in un partito – e in un Paese – non avesse diritto di residenza in democrazia; come se essere contrari fosse sconveniente; come se il confronto possa spingersi solo fino ad un certo punto.

Ed ecco, allora, che il dissenso esce dai partiti e si riversa nelle piazze, nelle masse, nei movimenti e nell’astensione dal voto.

Invece, dovremmo riscoprire il valore del confronto democratico. E proprio il Partito Democratico dovrebbe difendere il suo essere effettivamente tale. Ed ancora una volta, dovremmo porre attenzione ad una lezione che ci arriva da lontano, da uno di quei Costituenti, forse troppo frettolosamente archiviati come storia passata.

Qualche anno dopo l’approvazione della Costituzione, in occasione del dibattito parlamentare su una proposta di modifica alla legge elettorale, Calamandrei ebbe modo di sottolineare l’importanza di un partito in cui poter esprimere democraticamente anche il proprio dissenso. Perché «esponendo la nostra opinione contraria, noi non solo non intendiamo di mancare di rispetto o di fedeltà al nostro partito; ma anzi intendiamo di fargli onore, perché esso ci dà la possibilità di esprimere liberamente, direi quasi cordialmente, la nostra opinione, senza che per questo noi cessiamo di essere fedeli al nostro partito. Il nostro partito è veramente un partito democratico. Esso, come tale, ha fede soprattutto nella ragione, nella persuasione. In questa possibilità di esporre onestamente diverse ragioni contrastanti, di lasciare che certe crisi di coscienza affiorino pubblicamente senza scandalo, consiste la forza democratica del nostro partito. Non invidiamo i partiti in cui crisi di opinioni come le nostre sono condannate a rimanere imprigionate e ad invelenirsi nel chiuso delle coscienze.

Il nostro partito ammette e rispetta la tormentosa eresia e l’onesto deviazionismo; non brucia gli eretici e non impicca i deviazionisti. Anche noi […] siamo mossi in questo nostro dissenso dal desiderio di contribuire a salvare la democrazia del nostro Paese. E quando parlo di democrazia, non tanto mi vengono in mente gli aridi meccanismi costituzionali intorno ai quali noi giuristi dissertiamo, o questa nostra aula dove discutiamo noi, uomini politici; quanto mi viene in mente il nostro Paese, il Paese vero, il Paese vivo, questo popolo vivo […], che lavora o vorrebbe lavorare e soffre e spera, e al quale la Costituzione ha assicurato una esistenza “libera e dignitosa”; questo popolo che vede la politica da lontano, forse senza rendersi conto della ragione di tanti dibattiti, di queste nostre discussioni che possono sembrargli logomachie; e che nella politica va in cerca di idee semplici per orientarsi e per capire: capire che cosa si faccia qui per lui, o che cosa, qui, contro di lui si trami» (Calamandrei).

Ecco, la soluzione è proprio questa. Per recuperare le masse, per evitare l’astensione, per coinvolgere i movimenti e per non tradire lo spirito dei Costituenti dovremmo difendere il valore del dissenso e del confronto, senza paura di sembrare quello che invece dovremmo essere orgogliosi di essere: democratici.

La strada? Il Partito Democratico l’aveva intuita, l’aveva tracciata. Ma non ha ancora avuto il coraggio di percorrerla tutta, fino in fondo.

La strada è quella delle primarie. Non il controsenso delle primarie aperte solo agli iscritti. Se le primarie sono un mezzo per coinvolgere i cittadini e se il Partito Democratico è formato anche dai suoi elettori e non solo dagli iscritti, limitare le primarie a questi ultimi sarebbe solo il maldestro tentativo di evitare il vero confronto. Il confronto con i cittadini.

Le primarie, anche quelle per le cariche interne di partito, dovrebbero essere aperte agli elettori del P.D., perché saranno loro ad avere l’ultima parola.

Organizzare il Partito tra di noi, come se non dovessimo mai confrontarci con gli elettori per la ricerca del bene comune non è un grande progetto. E solo la ricerca del bene comune può giustificare l’esistenza stessa di un partito. Ma la visione del bene comune non appartiene ad un solo partito e, tantomeno, alla maggioranza di un partito, ma appartiene a tutti e può emergere solo dal confronto tra tutti, dallo scontro delle opinioni di tutti e dalla ricerca di un bene davvero comune a tutti.

venerdì 29 luglio 2011

Intervista di Eugenio Scalfari per Repubblica del 28/7/1981 a Enrico Berlinguer sulla questione morale: «I partiti sono diventati macchine di potere»

All'epoca di questa storica intervista cominciavo alla lontana,molto alla lontana, a seguire la politica,avevo le mie idee,speravo in un accordo quantomeno programmatico tra la Dc e il Pci.Mi piaceva molto la coppia Moro-Berlinguer...Soffrii davvero per il rapimento e l'uccisione del leader Dc,così come mi rattristarono parecchio quelle immagini del palco di Padova dove si concluse il percorso umano-politico del segretario comunista.Insomma l'Italia che fu!
E l'Italia di oggi invece?
Sui giornali,in tv, su internet tutti i giorni uno stillicidio di notizie e commenti sulla corruzione e sul malcostume che caratterizza la vita politica mentre il Paese affonda,con un livello di immagine internazionale pari a zero!
Ieri Scalfari su Repubblica ha fatto riferimento a questa intervista in cui per la prima volta Berlinguer affronta questo tema.
Ci sono dei passaggi molto significativi che,incredibilmente e drammaticamente, risultano di estrema attualità.










«I partiti sono diventati macchine di potere»



«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.

«I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».



Eugenio Scalfari

* * *

La passione è finita?

Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...



Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.



Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.



Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.

E secondo lei non corrisponde alla situazione?



Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.



Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.



Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?



Veniamo alla seconda diversità.

Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.



Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.



Non voi soltanto.

È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?



Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.



Dunque, siete un partito socialista serio...

...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...



Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.



Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?

Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.



Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.



Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.



Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.



E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

«La Repubblica», 28 luglio 1981